Socrate e Aristotele "bianchi colonialisti": l'accademia woke li iscrive nella lista nera

  • Postato il 19 giugno 2024
  • Di Il Foglio
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Socrate e Aristotele "bianchi colonialisti": l'accademia woke li iscrive nella lista nera

Nel 2017 gli studenti della famosa Scuola di studi orientali di Londra (Soas) della University of London chiesero di togliere Platone e Kant, Aristotele e Socrate dal curriculum. Hanno una grave “colpa”, questi filosofi: sono bianchi ed esponenti del “colonialismo” che andrebbe espulso dalle istituzioni accademiche. “They Kant be serious”, titolò il pugnace Daily Mail sull’università che voleva proibire il filosofo tedesco. Facevano sul serio. Ora gli accademici woke hanno messo da parte filosofi come Aristotele e Socrate a favore della “decolonizzazione”, sbarazzandosi degli “uomini bianchi morti” in un nuovo toolkit per scuole e università prodotto dalla prestigiosa Soas. Vengono raccomandati al loro posto una femminista indiano-americana, una “teorica del genere” nigeriana e un'esperta zen giapponese.
 

Il toolkit liquida lo studio di Aristotele, Platone e Socrate. Si tratta della prima guida ufficiale prodotta dagli accademici della Soas volta a “decolonizzare la filosofia”. Paul Giladi, uno dei creatori del toolkit, ha detto: “Ripensando ai miei anni all'università, ho visto che la mia formazione filosofica era stata cieca, addirittura disinteressata, alla ricchezza di saggezza proveniente dall'Africa, dall'Asia, dal medio oriente”. Tra le “nuove voci” suggerite dalla guida c’è Nishida Kitaro, un filosofo giapponese la cui scuola di pensiero multiculturale “sfida l’eurocentrismo”. È inclusa anche Uma Narayan, una studiosa indiana di filosofia che “critica le forme riduzioniste della cultura del femminismo postcoloniale”. E filosofi africani come Kwasi Wiredu – ideatore della “decolonizzazione concettuale” – e Nkiru Nzegwu, uno dei principali teorici africani del genere. Intanto alla Soas è sorta la “zona liberata” degli studenti che vogliono boicottare Israele.
 

E il Wall Street Journal ci informa del professore di archeologia di Harvard Jason Ur, che a inizio lezione mostrava la foto di un teschio umano in classe per stimolare i suoi studenti. Il primo giorno in aula il prossimo autunno, gli studenti della sua classe di riceveranno un trigger warning, un avviso censorio, come quelli nei film. Maneggiare con cura. “Vedrete alcuni resti umani che potrebbero disturbarvi”, dirà Ur agli studenti universitari. Alcuni archeologi e antropologi scelgono gli avvisi. Alcuni usano i disegni dei morti invece delle foto nelle loro presentazioni. Altri ancora addestrano gli studenti su ossa di plastica invece che su ossa vere. Trish Biers dell'Università di Cambridge, che conserva 18mila campioni di sangue, cervello e ossa risalenti alla metà del XIX secolo, dice: “La morte non è per tutti: la morte è un argomento davvero difficile”. Prima di insegnare, mostra sullo schermo uno scheletro di cartone animato con un fumetto che dice: “In questo discorso ci sono immagini di resti umani”. Considera semplice gentilezza far sapere al suo pubblico cosa sta succedendo. Una generazione di cuccioli violenti, atterriti dalla vista di un teschio di Neanderthal ma non dalle foto delle donne israeliane stuprate al Nova Festival e che vorrebbero bandire Socrate e Aristotele per metterci al loro posto la teologia della violenza decoloniale di Fanon.
 

Saul Bellow nel 1994 sul New York Times attaccò questo terzomondismo culturale allora agli esordi, chiedendo ai suoi paladini in erba se l’isola di Papua avesse un Proust e gli Zulù un Tolstoj. Ora a Londra sembra che li abbiano trovati.

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Il Foglio

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