Onorevoli di Calabria: Roberto Lucifero

  • Postato il 16 ottobre 2025
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Onorevoli di Calabria: Roberto Lucifero

Chi sono gli Onorevoli di Calabria, scopriamo le biografie dei parlamentari che dal 1946 ad oggi hanno rappresentato i calabresi in Parlamento, conosciamo Roberto Lucifero


Dell’Assemblea costituente che ha scritto la costituzione repubblicana, hanno fatto parte anche esponenti del mondo monarchico. Tra questi il più influente è stato il calabrese Roberto Lucifero, eletto con oltre 33 mila preferenze.
Avvocato, era nato nel 1903 a Roma, da una famiglia nobile, i marchesi d’Aprigliano. Il padre Alfonso era stato deputato per oltre trenta anni prima del fascismo.

Dopo l’8 settembre del 1943, Lucifero partecipa alla Resistenza romana nella fila di una formazione monarchica clandestina, il Centro della democrazia italiana. Così, nell’aprile del 1944 viene catturato dalle SS e resta rinchiuso nel carcere di Regina Coeli fino alla liberazione di Roma, il 4 giugno dello stesso anno.

Prende quindi parte alla formazione del Partito democratico italiano e inizia a scrivere, con grande successo, sul quotidiano monarchico “Italia nuova”, assumendo posizioni molto nette contro l’epurazione antifascista del Governo Bonomi e il Comitato di Liberazione nazionale. Queste sue uscite, però, finiscono per mettere in forte imbarazzo i Savoia, che in vista del referendum cercavano di assicurarsi una nuova immagine democratica, tanto che Umberto, allora Luogotenente generale del Regno, se ne lamenta con Falcone Lucifero, cugino di Roberto e Ministro della Real Casa.

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ONOREVOLI DI CALABRIA: L’ELEZIONE NELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE DI ROBERTO LUCIFERO

Nel 1945 viene nominato componente della Consulta nazionale e il 2 giugno del 1946 è eletto all’Assemblea costituente nelle liste del Blocco nazionale della libertà in Calabria. Ma, all’esito del referendum, è il capofila di quella corrente che vorrebbe il Re su una posizione di resistenza anti legalitaria e gli garantisce (a parole) la possibile insurrezione del sud monarchico per andare contro i risultati della consultazione popolare. Così, il 13 giugno, quando il Sovrano era ormai in procinto di partire per l’esilio, andandolo a salutare al Quirinale lo esorta a restare in Italia con un accorato appello, rimasto come è noto inascoltato.

Nell’Assemblea costituente si è occupato soprattutto del diritto di sciopero, dei rapporti tra Stato e Chiesa, dell’uso dei titoli nobiliari e, ovviamente, dell’avocazione allo Stato dei beni di Casa Savoia. Ma è sulla caratterizzazione antifascista della Carta che ha svolto il suo intervento più significativo, chiedendo che nella Costituzione non fosse contenuto nessun riferimento, né positivo né negativo, al Ventennio.
Quando nel 1946 il Partito democratico italiano confluisce nel Partito liberale, le sue posizioni di estrema destra e fortemente anticomuniste, gli valgono l’elezione a segretario generale.

L’influenza di Benedetto Croce, però, gli impedisce di realizzare un’alleanza con monarchici e neofascisti. La sconfitta alle elezioni politiche del 1948 lo costringe però alle dimissioni. È eletto comunque senatore a Crotone, anche se di lì a poco abbandonerà il partito.
Nel 1953 e nel 1958 è rieletto deputato nelle liste del Partito nazionale monarchico. Nel 1960 è tra i parlamentari sostenitori della monarchia che votano la fiducia al discusso ed effimero Governo Tambroni. Di lì a poco, contrario alla fusione del suo partito con quello nazionale monarchico di Achille Lauro, lascerà la politica attiva.

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