Onde radio contro i droni. Com’è andato il test di Rapid Destroyer
- Postato il 18 aprile 2025
- Difesa
- Di Formiche
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Il ministero della Difesa britannico ha recentemente annunciato il successo di un nuovo sistema d’arma elettronico pensato per contrastare la crescente minaccia rappresentata dai droni sul campo di battaglia. Il dispositivo, chiamato RapidDestroyer, è in grado di neutralizzare più bersagli contemporaneamente utilizzando impulsi ad alta frequenza, capaci di disabilitare i componenti elettronici a distanza. Sviluppato da un consorzio guidato dalla francese Thales, il sistema è stato testato con successo contro sciami composti da otto droni alla volta, arrivando a colpire oltre cento unità durante l’intera fase di sperimentazione.
Nonostante i risultati incoraggianti, si tratta ancora di una tecnologia nelle fasi iniziali. Il RapidDestroyer necessita di un elevato apporto energetico e viene attualmente trasportato su un camion con pianale, fattore che ne limita la mobilità e la prontezza d’impiego. Tuttavia, il potenziale operativo è evidente, soprattutto in contesti dove è prioritario neutralizzare un gran numero di droni in simultanea, senza dover ricorrere a munizionamenti costosi o sistemi a fuoco diretto.
La corsa alle contromisure contro i droni è ormai diventata una componente centrale della guerra moderna. Oltre al Regno Unito, anche gli Stati Uniti stanno investendo in soluzioni simili: il Tactical High-power Operational Responder (Thor), sviluppato dall’Usaf, e Leonidas, ideato dall’azienda tecnologica Epirus per la Us Navy, sono due esempi significativi. Entrambi i sistemi puntano all’uso di microonde per saturare l’elettronica dei droni nemici, con impieghi previsti anche in ambito navale o su grandi basi operative.
La necessità di questi sviluppi è resa evidente dal conflitto in Ucraina, dove l’uso massiccio di droni ha radicalmente trasformato le dinamiche del campo di battaglia. Secondo il parlamentare ucraino Roman Kostenko, fino all’80% delle perdite in combattimento è riconducibile direttamente o indirettamente all’impiego di droni. Si tratta spesso di dispositivi economici, lanciati in sciami, che mettono in crisi le difese tradizionali capaci di intercettare un solo bersaglio alla volta. Armi come il RapidDestroyer promettono di offrire una risposta più efficace e sostenibile dal punto di vista economico.
Gli esperti, però, avvertono che si tratta di strumenti adatti a scenari specifici. Il loro raggio d’azione, piuttosto ampio e indiscriminato, li rende poco adatti alla protezione di infrastrutture civili o aree urbanizzate, dove potrebbero causare danni collaterali. In ambienti più isolati, come deserti, mari aperti o fronti attivi, queste armi possono invece rivelarsi decisive per aumentare la resilienza delle forze armate contro attacchi simultanei.
Il conflitto in Ucraina ha inoltre evidenziato il ruolo cruciale della guerra elettronica. Le tecnologie di disturbo hanno già compromesso l’efficacia di sistemi avanzati come gli Himars americani, rendendo evidente quanto il confronto tra misura e contromisura sia in costante evoluzione. Anche le armi a microonde, potenzialmente decisive oggi, potrebbero essere controbilanciate in futuro da droni protetti con materiali capaci di schermare i circuiti dai campi elettrici esterni.
Infine, l’orizzonte operativo di queste tecnologie non si limita alla guerra contro i droni. La Marina statunitense ha annunciato per il 2026 i test di un sistema simile, noto come Project Meteor, progettato per neutralizzare missili balistici anti-nave ad alta velocità. Una conferma ulteriore che l’energia diretta sta diventando una componente strategica delle difese militari del futuro.