Omicidio Nada Cella, i carabinieri che perquisirono l’abitazione di Cecere nel 1996: “Era fredda, sembrava ci stesse aspettando”

  • Postato il 13 marzo 2025
  • Argomento
  • Di Genova24
  • 5 Visualizzazioni
identikit omicidio nada cella, fotofit radatti

Genova. Quando i carabinieri, dopo che Adriana Berisso aveva fornito alcune informazioni sulla sua vicina di casa, ottennero dal pm Filippo Gebbia il via libera a perquisire la sua abitazione, Annalucia Cecere, oggi imputata per l’omicidio di Nada Cella, si mostrò tranquilla e fredda in maniera del tutto inaspettata a detta dei militari.

“Eravamo in sei, tre di Sestri e tre di Chiavari – ha raccontato questa mattina in aula Giuseppe Mariotta che all’epoca dei fatti era nel nucleo operativo dell’Arma di Sestri Levante – Quando entrammo notammo una freddezza che ci ha lasciato spiazzati. Pensavamo che alla nostra vista si sarebbe quantomeno preoccupata, invece era come se ci stesse aspettando”. Lo stesso ha detto il collega Vincenzo Rosso: “Lei sembrava che ci aspettasse, chiacchierava tranquillamente”.

La perquisizione: “Sembrava che Cecere ci stesse aspettando”

Stesso impatto avuto da Vincenzo Leo, che comandava il comandante nucleo operativo di Chiavari ha usato all’incirca le stesse parole: “A fare impressione è stato l’atteggiamento dell’interessata – ha spiegato – cioè, le entrano in casa sei carabinieri e lei come se nulla fosse, impassibile, come se ci stesse aspettando”. Leo ha anche raccontato alla Corte d’assise che in casa “c’erano i giornali dell’epoca aperti sull’omicidio di Nada Cella”. Nulla di strano di per sé visto che di quel delitto parlava tutta Chiavari ma nei cinque giorni in cui Cecere fu intercettata “nonostante abbia fatto e ricevuto diverse telefonate non ha fatto mai alcun riferimento al delitto”.

Ricordiamo che Annalucia Cecere venne iscritta nel registro degli indagati venti giorni dopo l’omicidio, il 27 maggio 1996 e solo per pochi giorni, dopo che i carabinieri ricevute le confidenze di Adriana Berisso, comunicarono al pm la volontà di approfondire quella pista. E a casa di Cecere i carabinieri cercavano in particolare dei bottoni o una giacca con dei bottoni visto che il pm gli aveva dato una foto in bianco e nero del bottone insanguinato trovato sotto il corpo di Nada Cella.

I militari i bottoni li trovarono, in un cassetto di una stanza “adibita a magazzino”. “La donna ci disse che appartenevano a una sua vecchia giacca, che aveva gettato ma aveva tenuto i bottoni perché le piacevano” ha spiegato Mariotta.

I carabinieri: “Per noi i bottoni erano simili, ma il pm ci disse di chiudere le indagini”

Lì per lì i militari dell’Arma pensavano di aver fatto centro: “Un collega trovò una serie di bottoni metallici, con una stella e una scritta in inglese. Al momento sembravano quasi uguali a quello trovato dalla polizia di Stato sul luogo del delitto” ha raccontato. E il collega Leo: “Per noi erano simili se non identici a quelli rinvenuti sul luogo del delitto. Stessa scritta stessa forma, mancava in quello della foto il cerchietto di plastica”.

Quando però il giorno successivo al sequestro andarono dal pm gli venne fatto capire “chiaro e tondo” che gli elementi erano deboli. “Proponemmo di interrogare l’indagata, ma Gebbia ci disse che non era il caso di andare avanti su un procedimento che non dava grandi spunti investigativi e ci disse di chiudere le indagini”. Il pm inoltre disse ai militari che era convinto che invece il filone che stava seguendo la polizia di Stato (che puntava su Marco Soracco, all’epoca indagato per l’omicidio) era a buon punto e avrebbero chiuso le indagini in breve tempo.

Così i carabinieri stilarono una relazione finale sulla comparazione dei bottoni, comparazione basata esclusivamente su una foto in bianco e nero del reperto trovato sulla scena del crimine. Scrissero che c’era una differenza nelle dimensioni, dovuta all’anello di plastica non presente su quello trovato sotto il corpo della vittima.

L’identikit della mendicante e del figlio e l’album con oltre 400 foto

A Chiavari ci fu anche lo spunto dei militari dell’Arma che portava a Cecere, fornito dalla mendicante Radatti e dal figlio, grazie ai quali venne realizzato “fotofit”, cioè una ricostruzione del volto, molto somigliante a Cecere. I due avevano raccontato (dopo che la Radatti si era confidata con Berisso) di una giovane donna che conoscevano di vista che si era allontanata sconvolta dalla zona del delitto con una mano fasciata. Poi però in una seconda audizione i militari di Chiavari mostrarono alla donna, oggi deceduta, un album con 406 foto e lei a quel punto – forse perché quel giorno non aveva con se gli occhiali sostiene l’accusa – non fu in grado di distriscarsi in quella marea di immagini e di riconoscere Cecere, che pur aveva indicato come persona che “conosceva di vista perché abitava in zona”.

Così la pista su Annalucia Cecere, venne definitivamente chiusa, per essere riaperta solo con le nuove indagini del 2021.

Autore
Genova24

Potrebbero anche piacerti