Noi guardiamo alle guerre in corso come bambini che giocano, ma fuori si rischia l’apocalisse

  • Postato il 20 giugno 2025
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di Leonardo Botta

Una delle scene più inquietanti della serie tv Chernobyl che io ricordi mostrava bambini della cittadina sovietica che, poco distanti dalla centrale nucleare appena esplosa il 26 aprile 1986, giocavano spensieratamente con la “neve” che arrivava dal reattore 4. Erano bimbi innocenti e inconsapevoli che non avevano la più pallida idea di ciò che fosse appena accaduto, che stava per sconvolgere le sorti loro, della loro terra e del mondo intero.

Ci pensavo riflettendo sugli attuali scenari di guerra israelo-iraniana che si sta combattendo a causa del “casus belli” atomico; i link che mi ha portato a quest’associazione d’idee sono, immagino, quegli elementi della nota tabella che da ragazzi si studiava a chimica, l’uranio e il parente plutonio, la cui fissione è impiegata nell’industria energetica e, ahinoi, in quella bellica.

Perché noi comuni mortali che assistiamo spesso distrattamente a questi conflitti che vanno in scena su più teatri (quello russo-ucraino, nella Striscia di Gaza, ora in Iran), in cui i convitati sempre meno di pietra sono le bombe nucleari, sembriamo un po’ come quei bambini di Chernobyl: ogni giorno buttiamo un occhio a notiziari e giornali, ci informiamo, tutto sommato distrattamente, sull’evoluzione di queste guerre, giochiamo un po’ a fare gli ultrà di opposte tifoserie, pro o contro le armi all’Ucraina, pro o contro gli 800 miliardi di armamenti europei, pro o contro il 2% del Pil (poi 3, poi forse 5) di investimenti in difesa; e naturalmente pro Palestina o pro Israele. Noi giochiamo mentre lo spettro della “neve”, o nube atomica, aleggia su tutti noi (lo so: i miei “venticinque lettori” staranno sfregando ferro e altri “materiali umani”).

Noi giochiamo mentre capi di stato o leader – uno più pazzoide dell’altro – si scannano a dadi su questo assurdo tavolo di Risiko dove in ballo questa volta non c’è la Kamcatka (che da ragazzi non sapevamo dove fosse) ma le sorti del pianeta intero: Putin, Netanyahu, i capi terroristi di Hamas; persino Trump, che era tornato alla Casa Bianca con la fama di quello che non aveva innescato nuove guerre e che, da nazionalista, isolazionista, menefreghista qual è avrebbe fatto da pacificatore mondiale per non avere rotture di scatole a casa propria; già, visto come è entrato a gamba tesa nelle beghe atomiche tra Israele e Iran, verrebbe da dire “pacificatore un par de pa…”!

Noi giochiamo come bambini, ancora (almeno per il momento) al sicuro nei comodi letti dell’occidente del mondo, mentre bambini veri muoiono o vengono mutilati a grappoli. Perché le bombe, purtroppo, sono asettiche: non distinguono tra obiettivi militari e civili, tra maschi e femmine, tra grandi e piccini.

Allora, in questo mondo impazzito in cui i grandi manovratori o sono artefici di queste tragedie o, nel migliore dei casi (citando il compianto Ennio Fantastichini in una scena del film di Virzì), “nun ce stanno a capi’ più un cazzo, ma da mo’”, a me, agnostico tendente all’ateo, vien su tanta nostalgia per un uomo in abito bianco (che ora si starà rivoltando nella tomba, o nell’alto dei cieli, o ovunque egli riposi, non credo in pace) che aveva coniato lo slogan più iconico del nuovo millennio, “guerra a pezzi”. In fondo pure le ultime guerre mondiali erano cominciate un po’ a pezzi, tra dispetti, manie di grandezza e pulsioni nazional-espansioniste; e poi vedi che casini s’è combinato.

Da allora, pur con una guerra fredda che aveva minato gli scenari internazionali per tutto il dopoguerra e fino alla dissoluzione dell’Urss, solo in un’occasione si erano vagamente sfiorati gli scenari apocalittici di un conflitto globale a suon di testate (che, ahinoi, non sono le “capate” che si danno sul naso dell’avversario), quella finita negli archivi storici come la tentata invasione americana della “Baia dei Porci” e la conseguente crisi con i missili sovietici installati a Cuba. Il guaio è che Kennedy e Chruscev erano molto, ma molto più assennati di questi svalvolati che governano oggi le sorti del mondo.

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Il Fatto Quotidiano

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