“Noi artisti dichiarati inutili, superflui. La classe politica entra in scena a gambe larghe, brutale, virile fino al grottesco. Paura, terrore, ogni giorno”: Ursina Lardi alla Biennale Teatro

  • Postato il 15 giugno 2025
  • Cultura
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Poteva pure immaginarselo, il ministro della Cultura Alessandro Giuli, quando s’è presentato, insieme con il ‘suo’ maestro Presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, alla cerimonia di consegna del Leone d’Argento per il Teatro: un’attrice impegnata che di nome fa pur sempre Ursina, seppure attutito dal cognome Lardi, qualche bella zampata politica l’avrebbe tirata.

In effetti la protagonista di punta del teatro artistico di lingua tedesca, che è anche co-autrice di quattro dei suoi stessi spettacoli, forse i più impegnati e commoventi, per il regista-guru della Nuova Resistenza Milo Rau, s’è presentata alla cerimonia veneziana con un bel discorso scritto in italiano che più politico e militante di così non si poteva nemmeno immaginare. Prima ha finto un moto di sorpresa sfoderando un sorriso che celava il ghigno di contentezza, quando ha visto Buttafuoco introdurre sul palco il Ministro della cultura post-fascista. Giuli era seduto lì in prima fila, con signora al fianco, ormai da qualche minuto, ma Ursina di sicuro non l’aveva notato: era tutta presa a parlare fitto con mamma, papà e fratello convenuti a festeggiarla. Quando l’attrice ha cominciato a leggere la sua prolusione, premettendo di non aver mai preso troppo sul serio le occasioni dei premi, ma che stavolta, con l’aria che tira, ne valeva la pena…oplà! s’è capito subito dove sarebbe andata a parare.

Ed ecco una tirata encomiabile contro le destre estreme e le forze conservatrici, che vogliono ridimensionare a un ruolo non significativo la cultura e il teatro, facendo venir meno le risorse e ‘anche il rispetto e la considerazione per chi fa cultura. Veniamo ridicolizzati, dichiarati inutili, superflui e innocui. E questo mi ferisce più di ogni censura, più di qualsiasi forma di pressione’. (Segue una successione di frasi secche, perfette per altrettanti pause teatrali brevi). ‘I toni si sono fatti crudi, aggressivi. Ovunque. Quanta farsa! Quanto fumo! La classe politica entra in scena a gambe larghe, brutale, virile fino al grottesco, quasi primordiale, disumana. L’impatto è enorme. Paura, terrore, ogni giorno, e quel tintinnio di sciabole che risuona dappertutto. E dappertutto risposte semplici a domande complesse’.

Giuli incassa senza muovere un muscolo, a parte i consueti tic facciali, in sala si annuisce sorridendo, qualcuno si scambia sguardi di goduria, pronto a saltar su per l’inevitabile standing ovation, che stavolta è davvero lunga: non ha appena spiegato che ‘oggi il teatro è una forma di resistenza’, la nostra comandante partigiana Lardi?Con questa cerimonia e ‘l’abbraccio dell’Ursina’ ai post-fascisti, è andata bene verso l’epilogo la prima rassegna del Teatro di Willem Defoe, imbastita con l’intellettuale organico di casa in Biennale Andrea Porcheddu. Si può dire così che l’edizione del ’25 sia riuscita anche sotto il profilo della ricchezza e varietà delle rappresentazioni, in ballo c’erano tanti nomi sperimentati e diversi intoccabili. Forse non hanno funzionato a dovere proprio i due nuclei che si volevano centrali, la rivalutazione ex post del teatro americano d’avanguardia e la celebrazione della Biennale Ronconi del 1975.

Tutto sommato, a proposito dello sguardo rivolto al passato, vale la tesi di Walter Benjamin sull’Angelo della Storia mezzo girato all’indietro, che non a caso è stato rimesso in scena da Romeo Castellucci nell’inquietante installazione al Lazzaretto Vecchio: la creatura alata e superiore guarda verso le macerie da cui soffia il vento impetuoso del Progresso. Altre note di merito quasi unanimi se le sono meritate alcuni degli spettacoli degli allievi dell’Accademia d’Amico, per i quali era in gioco uno dei migliori curatori di Biennali delle ultime edizioni, il regista Antonio Latella, che a sua volta ha coinvolto fior di colleghi a dare una mano ai ragazzi. Alla fine è sempre la freschezza a funzionare, sopratutto se con proposte insolite da culture altre, dalla Turchia dei dervisci rotanti alla Sierra Leone di Princess Isatu Bangura. Ah, sul finale è andato in scena anche il nuovo ‘Die Seherin’ (La Veggente) di Milo Rau con Ursina Lardi, sempre straordinaria, ma così tanto da travolgere, con il discorso del giorno dopo che inneggiava al ‘Teatro Antifa’, tutte le eventuali discussioni sulla riuscita non proprio perfetta di questa sorta di Filotette a Mosul.

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Il Fatto Quotidiano

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