Nissan in difficoltà, rischio chiusura per due importanti fabbriche

  • Postato il 19 maggio 2025
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Il futuro dell’industria automobilistica non conosce più certezze. Né per le fabbriche né per i lavoratori. E se in Occidente ci si dibatte tra transizione elettrica, dazi e super-incentivi, in Giappone arriva una notizia che fa rumore, e non solo per il peso industriale: Nissan valuta la chiusura di due storici impianti nella prefettura di Kanagawa, a sud di Tokyo. Una decisione che, se confermata, avrebbe il sapore amaro della fine di un’era.

Le indiscrezioni che arrivano dal Sol Levante

A riportarlo è l’agenzia giapponese Kyodo News, che cita fonti interne al gruppo. Sul tavolo ci sono due nomi pesanti: lo stabilimento di Oppama, a Yokosuka, dove la casa giapponese fu tra le prime al mondo a produrre veicoli elettrici, e quello di Shonan, a Hiratsuka, gestito dalla controllata Nissan Shatai, specializzata nella costruzione di veicoli commerciali.

Insieme, queste due fabbriche rappresentano circa il 30% della capacità produttiva nazionale di Nissan. Non numeri qualsiasi. Non impianti qualsiasi. Qui, tra catene di montaggio e robot, è passata la storia di un marchio che ha segnato l’identità industriale del Giappone. E proprio per questo, la possibilità che i cancelli si chiudano su questi stabilimenti suona come un campanello d’allarme per tutto il settore.

I motivi questa decisione

La motivazione? Livelli operativi inferiori rispetto agli altri impianti nazionali, causati da una progressiva contrazione delle vendite dei modelli prodotti in loco. Una formula tecnica per dire che certe macchine non si vendono più. Che i gusti cambiano, i mercati pure, e le strategie aziendali non possono restare ancorate alla nostalgia. Ma quando a essere in bilico è Oppama, lo stabilimento dove si è fatta la storia dell’elettrico con la prima Leaf, o Shonan, che per decenni ha rifornito il Giappone di mezzi commerciali, la questione assume toni ben diversi.

Anche perché Kanagawa non è una regione qualunque. È dove tutto è cominciato, nel 1933. È il cuore industriale della Nissan, la culla del suo sviluppo. La chiusura di questi impianti sarebbe la prima in patria dal 2001, quando fu dismesso il sito di Musashimurayama, a ovest di Tokyo. Un precedente che all’epoca fece scalpore, e che oggi rischia di essere superato in scala e impatto.

Come va fuori dal Giappone

E se guardiamo oltre i confini giapponesi, il disegno si fa più chiaro. Nissan ha già annunciato la chiusura di due stabilimenti all’estero: uno in India e uno in Argentina. Il piano è ambizioso e spietato: ridurre il personale del 15% e portare da 17 a 10 gli stabilimenti automobilistici entro l’anno fiscale 2027. Una ristrutturazione globale, imposta da risultati economici modesti e da vendite deludenti in mercati chiave come gli Stati Uniti e la Cina.

In parallelo, la Casa giapponese punta a tagliare del 30% la capacità produttiva globale, esclusa la Cina, scendendo a 2,5 milioni di veicoli l’anno. È una marcia indietro rispetto all’espansionismo sfrenato dell’ultimo decennio. Il segno dei tempi. In un mondo dove si vendono meno auto, e dove la competizione – soprattutto quella cinese – morde forte, anche i colossi devono fare i conti con la realtà.

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