Nei sotterranei vaticani spunta un antico murale sul Vangelo
- Postato il 24 novembre 2025
- Cultura
- Di Agi.it
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Nei sotterranei vaticani spunta un antico murale sul Vangelo
AGI - Spunta un antico murale sul Vangelo. Si trova nei sotterranei vaticani, sotto l’altare principale della Basilica di San Pietro, sovrastato dal monumentale Baldacchino berniniano. Si tratta di alcuni graffiti (ora non più visibili) su una parete di un mausoleo dell’antica necropoli romana. Mostrano i contorni delle teste di Gesù e san Pietro. Accanto, in greco, le parole-chiave che danno il titolo ad alcuni momenti della missione di Cristo in terra: “catabasis”, “anabasis”, “anastasis” e “dexi[o)stasis]”. Che si possono tradurre in discesa agli inferi, ascensione, resurrezione e siede alla destra del Padre.
La scoperta
La scoperta è quasi un’eredità. Il ritrovamento, infatti, si deve all’archeologa fiorentina Margherita Guarducci, classe 1902, scomparsa a Roma nel 1999 all’età di 97 anni e definita oggi (ma non all’epoca) “la più grande epigrafista al mondo”. Il suo curriculum, infatti, è davvero stellare: ricercatrice a Creta, a soli 29 anni ordinaria di Epigrafia e antichità greche all’Università “La Sapienza” di Roma, direttrice alla Scuola nazionale di archeologia, dal ’56 membro dell’Accademia dei Lincei. E, soprattutto, negli anni Cinquanta protagonista del clamoroso ritrovamento delle reliquie attribuite a san Pietro negli stessi sotterranei della basilica dove già i suoi colleghi avevano scavato senza vedere. La notizia, quindi, è vecchia e arcinota?
Non la pensa così il sacerdote spagnolo che negli anni Novanta ha conosciuto l’archeologa, conversato con lei e ricevuto dalle sue mani il libro: “Cristo e san Pietro in documento precostantiniano della necropoli vaticana”, datato 1953 e stampato dall’Istituto poligrafico dello Stato.
La testimonianza di don Alfredo Martin
Lui si chiama don Alfredo Fernandez Martin, 70 anni di età e da quasi cinquanta nella Città Eterna, della parrocchia “Nostra Signora di Valme” nella zona di Villa Bonelli.
“Il libro era rimasto un po’ nell’ombra – spiega don Alfredo –. Ora, in tempi in cui si torna a parlare del Concilio di Nicea e della preghiera del ‘Credo’ approvata da quell’assemblea di vescovi – riflette – mi sembra giusto ricordare il volume di Margherita Guarducci e il murale da lei decifrato, straordinaria anteprima della preghiera che è professione di fede per tutti i cristiani”. Cioè, di grande attualità.
Il Concilio niceno
Infatti, dal 27 novembre fino al 2 dicembre prossimi papa Leone XIV sarà in Medio Oriente (Turchia e Libano) in occasione del 1700° anniversario (325-2025) dal Concilio niceno che si svolse nella città a circa 130 chilometri dall’odierna Istanbul, nella penisola anatolica.
Il murale sul Vangelo
Il murale sul Vangelo risale all’arco di tempo che va dalla fine del III e gli inizi del IV secolo d.C. È tracciato “sul rivestimento di stucco entro una delle nicchie di una camera sepolcrale pagana – illustra l’autrice del libro - in quella vasta necropoli sotto il pavimento della basilica. Siamo a una distanza di circa 22 metri da quel luogo dove era sepolto il principe degli apostoli”. Sembra di tornare a quegli scavi. Quindi si prosegue con Gesù e Pietro nella nicchia centrale.
“La vera meraviglia di questa testa di Cristo – continua la professoressa - si trova nella parte superiore. Vi è una strana figura costituita da due uccelli strettamente collegati fra loro in un corpo unico, figura che sembra quasi connaturata con quella umana. I due uccelli intimamente collegati da un solo corpo vogliono rappresentare la fenice, e proprio quando dalla morte rinasce alla vita. Chi la disegnò – considera - sembra infatti aver mirato specialmente a rappresentare in maniera simbolica l'attimo prodigioso della palingenesi… Il Cristo-Fenice deve essere inteso come l'immagine di Cristo risorto e vivente in eterno”.
Le quattro parole in greco
E poi le quattro parole scritte in greco. “S’irraggiano dalla testa di Cristo – descrive ancora l’archeologa - in stretto rapporto con gli insegnamenti della Chiesa; sono un frammento del ‘Credo’”.
L'archeologa 'star'
Margherita Guarducci è una celebrità. Ha proseguito le indagini avviate nel giugno 1939 da Pio XII, nel suo lavoro ha mostrato una competenza non comune, che ha consentito a Paolo VI di annunciare pubblicamente all’udienza generale di mercoledì 26 giugno 1968: “Sono stati rintracciati i pochi, ma sacrosanti resti mortali di Pietro”.
Dopodiché il Pontefice si è fatto consegnare nove frammenti ossei e li ha conservati nella cappella privata del suo appartamento. Fino al 24 novembre del 2013, quando il successore Francesco li ha esposti in una teca sul sagrato della basilica vaticana e il 29 giugno di sei anni dopo li ha donati al capo delegazione del Patriarcato di Costantinopoli per “unire le reliquie dei due fratelli apostoli”: Pietro e Andrea.
L’ultimo capitolo sull’archeologa toscana è un bel libro scritto su di lei da Tiziana Lupi: “La tomba di san Pietro. La storia dimenticata di Margherita Guarducci” (Minerva, 2025), che poche settimane fa è valso alla scrittrice il Premio Rapallo nella sezione “Costume e saggistica”. Una prima rivincita.
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