‘Ndrangheta, l’allarme del pentito: «I miei figli sono in pericolo»

  • Postato il 13 gennaio 2025
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‘Ndrangheta, l’allarme del pentito: «I miei figli sono in pericolo»

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Il grido d’allarme del pentito di ‘ndrangheta: «I miei figli sono in pericolo. Mia moglie è rimasta con la cosca. Volevano uccidermi, mi minacciavano. E la giustizia non mi tutela abbastanza»


LAMEZIA TEME – «Il tribunale non protegge i miei figli minori, che sono in pericolo». È il grido dall’allarme di un uomo, collaboratore di giustizia da gennaio 2014 (lo chiameremo A. B. ma non sono le sue iniziali). A. B. ha fatto parte di un gruppo di fuoco di una cosca lametina, ha scontato il carcere e ora è libero in una località protetta. La sua ex moglie appartiene a una famiglia di ‘ndrangheta e l’asserita mancata tutela dei suoi figli nascerebbe proprio per la separazione dalla sua ex consorte.

«A settembre 2013 – spiega – dopo l’ultima discussione con la mia ex moglie, lei è andata via da casa (al nord) dove mi ero trasferito, e mi ha denunciato per maltrattamenti e detenzione di armi in casa, ma poi sono stato assolto e durante una perquisizione non hanno trovato nulla». Ritiene che la sua ex moglie gli abbia fatto «un tranello» per andarsene da casa visto che «i rapporti erano già peggiorati». E questo perché – continua – «io nel 2007 ho deciso di allontanarmi da quell’ambiente per dedicarmi al lavoro e alla famiglia. Questa cosa – spiega – non è stata mai accettata sia dalla mia ex moglie che soprattutto dalla sua famiglia».

LE MINACCE

«A novembre del 2013- racconta A. B. – con la scusa che lei doveva prendersi le sue cose a casa, è venuta con i bambini e la sua famiglia e lì sono stato aggredito davanti ai miei figli, non ho potuto reagire anche perché loro erano in cinque. Sono andato al pronto soccorso e li ho denunciati. Dopo una settimana lei denuncia me, senza però andare al pronto soccorso sostenendo che fossi stato io ad aggredirla. Per queste denunce al tribunale di Biella hanno aperto tre procedimenti: in uno sono parte offesa e imputato e in altri imputato. Per loro, che erano imputati e io parte offesa, il pm ha chiesto l’archiviazione e in un altro procedimento, dove io ero parte offesa, lo stesso pm ha chiesto la mia condanna nonostante i miei certificati medici, le foto dei danni che mi hanno fatto a casa, nonostante il giudice nelle sentenze ha scritto che i testimoni, la famiglia della mia ex moglie, hanno detto falsità. È tutto nelle sentenze. Il terzo procedimento invece è stato archiviato».

IL FALLITO AGGUATO

«Il 2 gennaio 2014, – racconta – dopo la separazione, avevo il permesso di stare tre ore con i bambini e, per come disposto dal tribunale, li stavo riportando e lei ha subito cercato di portare i bambini in casa. In quel momento mi sono accorto che c’era qualcosa che non andava. Quella sera poi mentre rientravo, una vicina ha riferito che sotto casa c’erano delle persone sospette di cui uno è andato a suonare a casa mia e l’altro aspettava. Ho capito che questi erano lì per uccidermi anche collegandolo al fatto che la mia ex moglie mi aveva preso in fretta i bambini. In quel momento dovevo decidere se ricambiare il “favore” a loro oppure affidarmi alla legge e così ho fatto visto che sono andato in Questura spiegando tutto quello che era successo. Il giorno dopo ho parlato con la Dda di Torino e mi hanno detto di collaborare oppure questi mi avrebbero ammazzato e che comunque la competenza era dalla Dda di Catanzaro visto che i reati erano stati commessi in quel territorio».

Da qui «per amore dei figli» A. B. decide di collaborare con la giustizia, tornando in Calabria dove ha iniziato il percorso di collaborazione con la Dda di Catanzaro. Ma un mese e mezzo dopo, marzo/aprile 2014, altre minacce e questa volta – racconta – più pesanti. «Sono tornato a Biella a casa trovando dei segni di morte con minacce rivolte ai miei figli. Sono venuti i carabinieri mettendo a verbale tutto, come gli oggetti dei miei figli esposti sul letto matrimoniale per indicare un funerale. Al tribunale gli è stato comunicato che io era entrato nel programma di protezione e che i miei figli erano in pericolo.
A quel punto la presidente del tribunale fa la proposta alla mia ex moglie se volesse andare via e la mia ex moglie ha detto di sì se era per amore dei figli, nel frattempo la presidente del tribunale ha chiesto una relazione alla Dda per verificare se i bambini erano in pericolo o meno. Un mese e mezzo dopo c’è stata un’altra udienza e da qui le cose sono cambiate visto che la mia ex moglie si presenta con un nuovo avvocato (attuale esponente del Governo che ora però non può esercitare e ha affidato l’incarico alla sorella) al nord molto conosciuto e potente, e la presidente subito chiede di chiudere il verbale. Mi chiedo se un avvocato che è nel governo nazionale può difendere la mia ex moglie appartenente a una famiglia di ‘ndrangheta?» .

A quel punto – spiega ancora A. B. – «il mio avvocato chiede se fosse arrivata la relazione della Dda e la presidente risponde di sì ma che la relazione l’aveva dimenticata in cassaforte e che c’era qualcosina ma niente di rilevante. Non sono poi mai riuscito ad avere copia di questa relazione». Da qui l’affidamento dei figli del collaboratore esclusivamente alla madre e «nel provvedimento, – continua A. B. – il giudice scrive che il presunto pericolo che correrebbero con la madre, fuori da programma di protezione, non è minore se stessero col padre che è nel programma di protezione».

Quindi ribadisce che «i miei figli – sottolinea – invece sono in pericolo di vita, come scrive anche il tribunale dei minori di Torino, ci sono anche 5 relazioni, l’ultima ad aprile 2023, che dicono che i miei figli sono in imminente pericolo di vita». Evidenzia di aver fatto ricorso contro il provvedimento del tribunale di Biella «ma la Corte d’Appello ha confermato il provvedimento, però nella sentenza della Corte d’Appello non risulta che il tribunale abbia allegato la relazione della Dda di cui non sono mai riuscito ad averne copia con il mio avvocato, quindi la Corte d’Appello ha deciso senza però leggere il contenuto della relazione».

L’uomo rimarca di aver denunciato più volte «questa situazione, anche a Catanzaro, per intervenire contro tutte le anomalie che ritengo ci siano nei miei confronti». Altro ricorso nel 2020 per la modifica delle condizioni di separazione «dopo che il tribunale dei minori confermava il pericolo per i bambini girando però la competenza al tribunale ordinario e alla commissione presso il servizio centrale, che però non può fare nulla perché c’è una sentenza che affida i bambini esclusivamente alla madre, e così l’ennesimo mio ricorso è stato rigettato».

Rivela di essere tornato al nord «con l’intenzione di incatenarmi davanti al tribunale e dare la mia vita al posto dei miei figli, poi lì mi hanno fatto cambiare idea dicendomi di tornare al mio sito protetto per non peggiorare le cose». Poi ha subito una condanna per un’operazione antimafia ed è «tornato in carcere e scontando la pena di 18 mesi uscendo a maggio 2022».

MINACCE E PROIETTILI

«I primi di luglio del 2022, – racconta A. B. – mia sorella a casa dei miei genitori defunti, ha trovato una lettera con minacce di morte indirizzata a me con tre proiettili nella buca della posta con la scritta “tanto lo sai dove fanno a finire” riferendosi ai tre proiettili, uno a me e uno ciascuno ai miei figli. C’era scritto: farai la fine di tuo padre, però prima dovrai vedere la fine che faremo fare ai tuoi figli. Tutto denunciato ai carabinieri da mia sorella».

Quindi nel 2023, dopo le minacce ricevute, la commissione presso il servizio centrale «ha esteso la protezione ai miei figli, ma la mia ex moglie ha rifiutato, riferendo al tribunale di essere disposta a far entrare nel servizio di protezione i miei figli se qualcuno gli dice che i bambini sono in pericolo ma i giudici non vanno oltre. Si fermano a quello che dice mia moglie. I miei figli sono in pericolo perché molto imputati condannati sono usciti dal carcere e ci sono ancora processi in corso per le mie dichiarazioni da collaboratore di giustizia. Ancora mi stanno sentendo come testimone, il mio compito da collaboratore lo sto rispettando nonostante i mie figli siano in pericolo. Ci sono tutti i requisiti affinché i miei figli possano essere affidati a me, anche in affidamento condiviso, oppure che anche la mia ex moglie entri nel programma di protezione con i miei figli pure se lei non è collaboratrice di giustizia».

In conclusione, A. B. ribadisce di essere entrato nel programma di protezione «per i figli e invece ora li ho persi, non li sento e non li vedo da maggio 2023. Il tribunale gira sempre intorno al problema, scrivendo che non è sua competenza, il servizio centrale di protezione dice invece che deve decidere il tribunale e a Catanzaro per competenza territoriale non possono intervenire. Ho fatto di tutto per tutelare i miei figli, sto combattendo contro una famiglia di ‘ndrangheta e ora sto combattendo con alcuni giudici che a mio avviso non rappresentano lo Stato. Sono disposto a tutto».

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