Multa ZTL ricevuta su WhatsApp? È una truffa: ecco come riconoscerla
- Postato il 24 giugno 2025
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- Di Virgilio.it
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Sfrutta le abitudini quotidiane per spingere gli automobilisti a versare denaro non dovuto o a condividere dati personali e bancari. È la nuova frontiera del phishing ovvero la truffa online con cui i criminali informatici cercano di ottenere informazioni personali sensibili. Ma che poi tanto nuova non è considerando che la dinamica e la modalità sono sempre le stesse. A cambiare è piuttosto il target e la leva di questo maldestro tentativo (almeno per chi se ne accorge): una finta multa ZTL inviata via WhatsApp con un messaggio costruito ad arte per sembrare un avviso ufficiale.
Una comunicazione ingannevole ma studiata nei dettagli
Il messaggio si presenta con una struttura grafica curata e una formula linguistica simile a quella delle comunicazioni istituzionali. Viene citato l’articolo 7 del Codice della Strada, indicata una data di infrazione più o meno recente e si fa riferimento a un presunto transito irregolare in una Zona a Traffico Limitato. Tutto è studiato per apparire credibile. Nel messaggio di cui siamo venuti in possesso si legge di una sanzione da 196 euro, da pagare entro una determinata data, pena l’aumento a 468 euro, come previsto dagli articoli 203 e 206 del Codice della Strada.
Ma un esame più attento rivela numerosi elementi di allarme. In primo luogo, nessuna amministrazione pubblica invia sanzioni tramite WhatsApp: le multe per accesso non autorizzato in ZTL sono notificate per posta raccomandata oppure tramite PEC o app istituzionali come IO. Il fatto che un avviso arrivi da un numero sconosciuto, in una chat privata, è già una seconda anomalia.
Dopodiché c’è la solita fretta con cui si chiede il pagamento che rivela le intenzioni dei cybercriminali. Le truffe di questo tipo fanno infatti leva sull’urgenza, sperando che l’utente non si prenda il tempo per fare le verifiche necessarie. L’importo “scontato” e il supposto raddoppio della sanzione dopo pochi giorni sono progettati per sollecitare una reazione impulsiva.
Le tecniche di persuasione utilizzate in questi raggiri si basano su precise strategie di social engineering cioè sull’arte di manipolare psicologicamente le persone inducendole a compiere azioni contro il proprio interesse. I truffatori sfruttano la percezione di autorità e urgenza. Confondono l’interlocutore e lo costringono ad agire in fretta, senza pensare. Il riferimento ad articoli del Codice della Strada, l’utilizzo di numeri civici o targhe plausibili rendono l’intero messaggio convincente, anche per utenti mediamente attenti.
Dove porta davvero il link contenuto nel messaggio
C’è poi un altro elemento decisivo a smascherare la truffa ed è la URL presente nel messaggio. Il link non conduce a un portale istituzionale, ma a pagine web clonate che imitano i siti ufficiali. L’utente ignaro può essere indotto a inserire dati sensibili oppure scaricare malware in grado di sottrarre password e informazioni bancarie.
In un contesto in cui la digitalizzazione ha cambiato il modo di comunicare con la pubblica amministrazione è comprensibile che molti cittadini siano meno inclini a dubitare di un messaggio ben costruito. Ed è questa zona grigia tra innovazione e disinformazione a rende questi raggiri pericolosi.
Il messaggio ingannevole sotto forma di multa ZTL è solo uno dei numerosi episodi relativi alla sofisticazione delle frodi legate alla mobilità. Oltre alle multe false su WhatsApp ci sono casi di truffe che riguardano false proroghe sulle targhe, finte comunicazioni sulla revisione auto e perfino contraffazioni di assicurazioni. I truffatori sfruttano il linguaggio tecnico della mobilità urbana, non sempre così comprensibile ai cittadini (frettolosi) per rendere i raggiri più credibili e colpire un pubblico più ampio e diversificato.
Come difendersi senza cadere nella trappola
La consapevolezza è la chiave per difendersi dalle truffe delle multe auto via WhatsApp. O almeno è quella più rapida ed efficace. Ogni volta che si riceve una presunta notifica di multa via chat è bene non rispondere all’invito ovvero non cliccare su alcun link o pulsante. Meglio visitare il sito del Comune di riferimento, accedere con Spid o contattare la Polizia Municipale per verificare l’infrazione.
WhatsApp è un canale privilegiato per la diffusione di tentativi di truffa. Il fatto che il mittente appaia come un numero telefonico “normale”, a volte persino con foto del profilo o intestazioni falsificate, aumenta la fiducia del ricevente. A differenza della posta elettronica di spam facilmente riconoscibili, i messaggi su app di messaggistica hanno un aspetto più personale e diretto.
Ecco quindi che se si è caduti nella trappola, la prima cosa da fare è agire con tempestività. La segnalazione del fatto alla Polizia Postale, il contatto con la propria banca per bloccare eventuali addebiti e la denuncia il messaggio ricevuto sono azioni che contribuiscono a contenere i danni.
Pagare la multa fasulla è solo il primo livello del danno. I dati raccolti attraverso i finti moduli di pagamento sono poi utilizzati per rubare l’identità digitale dell’utente. Si aprono infatti scenari di furto d’identità, intestazioni fraudolente di SIM o contratti di finanziamento richiesti a nome dell’automobilista.
Come si muove la Polizia Postale e quali strumenti mette a disposizione
Il ricorso al digitale da parte dei Comuni ha reso più difficile distinguere una notifica autentica da una creata ad arte. Oggi si può ricevere un messaggio da PagoPA, da IO o da un Comune, ma non attraverso canali informali. La mancanza di alfabetizzazione digitale diffusa fa sì che molti cittadini non sappiano più a chi credere.
Per contrastare il fenomeno la Polizia Postale ha avviato un’azione di monitoraggio e sensibilizzazione. È possibile inviare lo screenshot del messaggio sospetto tramite il portale Commissariato di PS online oppure presentare una denuncia cartacea in una delle sedi fisiche. Sono quindi attivi strumenti di controllo come il sito ufficiale di verifica dello stesso Commissariato di Polizia, dove controllare la presenza di segnalazioni simili.
Tra l’altro le associazioni di tutela dei consumatori, come Altroconsumo, Codacons e Adiconsum, raccolgono segnalazioni e predispongono modelli di diffida e rimborso per chi è caduto nella trappola.