Morte e seduzione nelle fotografie di Viviane Sassen. La mostra è a Reggio Emilia

È un mondo conturbante, quello in cui ci accoglie Viviane Sassen (Amsterdam, 1972) con la sua mostra alla Collezione Maramotti. Un universo poetico in cui si viene avvolti da una forza ancestrale che è allo stesso modo cruda e dolce, potente e delicata, in movimento e immobile, straniante e vicina, assente e presente insieme. Un linguaggio forte, articolato intorno al concetto e all’iconografia del memento mori, avvolto da un senso di beatitudine e da messaggio chiaro. Perché le oltre cinquanta opere dell’artista olandese esposte nelle sale della collezione nella sua prima personale mai realizzata nel nostro Paese, ci parlano dell’essenza stessa della fotografia, ovvero quella di parlare più lingue, anche quelle della morte ma come elemento della vita. Ci raccontano della fine che è possibilità. Del corpo organico che ha una data di scadenza, certo, ma che dopo diventa altro. Ci mostrano la morte semiotica, emblematica, ci portano a tu per tu con quel senso di ineluttabilità che ci fa sentire disorientati. Un po’ come i suoi scatti. Di fronte alle sue immagini avvertiamo come un sottile turbamento, osservando fosse scavate nella terra, corpi deceduti, piccoli tumuli con fiori, paesaggi, polvere, materie organiche che diventano ripetutamente promemoria della Fine.

Ritratto di Viviane Sassen Ph. Keke Keukelaar
Ritratto di Viviane Sassen Ph. Keke Keukelaar

La morte ci lascia disorientati: cosa succede al corpo dopo la fine?

Nei lavori di Viviane Sassen non c’è solo lamorte bensì anche il suo contrario. Le opere orizzontali ritraggono tombe, suolo, terra; quelle verticali simboleggiano la vita, la trasformazione di cui la fotografia diventa riflesso. L’artista ci spiega di come sia possibile portare il visitatore a contatto con temi come la decomposizione organica del corpo e farlo attraverso immagini che abbiano una forte carica seduttiva, portandoci per mano dentro al suo universo onirico, poliedrico, intriso di Surrealismo scaturito dall’incontro dell’artista (le sue fantasie, ossessioni, memorie e paure) con il mondo esterno. La mostra This Body Made of Stardust è di fatto un connubio potente tra estetica, comunicazione visiva e riflessione sull’invisibile, un mondo animato da colori accesi, geometrie, sinuosità plastica, dalla materia di cui è fatto il mondo condita da una forte tensione erotica.

Viviane Sassen tra arti plastiche, design e moda

L’intero corpus delle opere abbraccia un periodo di produzione di un ventennio, dal 2005 al 2025, durante il quale Sassen ha cambiato ed evoluto il suo linguaggio artistico, come testimonia anche un video in mostra. Alcuni nuovi lavori sono stati ideati appositamente per la personale in Collezione Maramotti. Oggi Viviane Sassen rappresenta una delle figure più importanti del panorama visivo contemporaneo. Intimamente legata alle arti plastiche, oltre al design e alla moda, Sassen si definisce anche scultrice. Le sue opere multiformi rivelano ciò che è nascosto sotto la superficie, sovrapponendo strati diversi nell’intreccio tra realtà e finzione modella corpi e oggetti e aggiunge alla propria pratica anche pittura, inchiostri e collage dando una dimensione extra all’immagine fotografica e performatività all’azione che testimoniano.

Viviane Sassen e il contatto con la morte

È stata l’artista stessa a curare la mostra ed ha scelto che le sue opere dialogassero con altre di proprietà della Collezione Maramotti nelle quali Sassen ha intercettato un’immediata empatia. Al vernissage reggiano ha raccontato di aver avuto un contatto con la morte sin dalla giovane età. Una gioventù trascorsa in Kenya, con un padre medico e la sua morte prematura. Da allora la paura esistenziale della morte e la lotta con l’idea di morire o di perdere i suoi cari ha fatto parte della sua vita. Il ritorno in Olanda si rivelò per lei un’esperienza traumatica, lasciando nella Sassen la sensazione di essere un’outsider sia in Europa che in Africa. Anche le sue immagini sembrano vivere in un perturbante stato di sospensione, cariche di simboli e ambiguità. “Sento di avere una certa responsabilità nei confronti delle persone che fotografo”, ha confessato la stessa artista, “perché, ovviamente, essendo una donna bianca con una macchina fotografica in mano, la macchina è già uno strumento di potere. Sono molto consapevole delle questioni politiche che vengono sollevate guardando il mio lavoro, ma non è mai stata mia intenzione realizzare opere che fossero politiche in senso stretto”. Nei progetti di Viviane Sassen nulla è ciò che sembra a prima vista, Ci si perde in un continuo intreccio tra finzione e realtà in cui l’artista invita l’osservatore a cogliere la bellezza e lo stupore dell’attraversamento. Siamo polvere ci dicono le sue opere, e polvere ritorneremo. Ma polvere di stelle.

Francesca Galafassi

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Autore
Artribune

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