Moda in Luce, a Palazzo Pitti la mostra che riscrive la storia del Made in Italy: un viaggio tra capi iconici, archivi segreti e filmati inediti

  • Postato il 2 luglio 2025
  • Moda E Stile
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

Un’eco di sete fruscianti, di abiti che tornano a casa dopo quasi un secolo. La Sala Bianca di Palazzo Pitti, a Firenze, è da sempre considerata la culla del Made in Italy. La storia ufficiale, quella che si legge sui libri, ha infatti una data e un luogo di nascita precisi per la moda italiana: 12 febbraio 1952, Sala Bianca. È lì che Giovanni Battista Giorgini, con una sfilata memorabile, presentò al mondo i compratori americani e la stampa internazionale, sancendo la nascita dello stile italiano. Ma è davvero andata così? O, meglio, è iniziato tutto lì? La risposta, potente e documentata, arriva da una mostra straordinaria che, quasi per un contrappasso dantesco, abita proprio le sale di Palazzo Pitti fino al 28 settembre: “Moda in Luce 1925–1955. Alle origini del Made in Italy”. Promossa dal Ministero della Cultura, organizzata e realizzata da Archivio Luce Cinecittà in collaborazione con le Gallerie degli Uffizi e curata dalla giornalista e storica della moda Fabiana Giacomotti, l’esposizione è un’operazione culturale inedita che, con eleganza e rigore filologico, ambisce a restituire dignità storica e visibilità a un trentennio fondamentale, ma spesso trascurato, in cui la moda italiana ha forgiato la sua identità.

Prima del 1952, prima della mitologia di Giovanni Battista Giorgini, prima ancora che Firenze diventasse capitale della moda, c’era infatti già un’Italia che inventava, tesseva, sperimentava. “La genesi della moda italiana riflette la storia del Paese“, afferma la curatrice, tra le massime studiose del rapporto tra moda, cultura e comunicazione. “È una narrazione a più voci, che parte da Venezia, passa da Milano e Torino, e culmina a Firenze – spiega Giacomotti -. Questa esposizione, per la prima volta, propone una selezione ragionata del patrimonio filmico, fotografico e documentaristico dell’Archivio Luce, in parte inedito, per raccontare l’evoluzione dello stile italiano in un trentennio cruciale. Un’epoca in cui prende forma una coscienza critica, industriale e identitaria destinata a segnare la storia della moda mondiale”. Gli abiti che popolano la Sala Bianca di Palazzo Pitti — così familiari, così dimenticati — non raccontano solo di stile. Non sfilano, ma sembrano muoversi tra le colonne affrescate e la penombra dorata. Raccontano di una verità rimossa, di un inizio che precede l’“inizio ufficiale”. Quello che la mostra compie è un gesto sovversivo: non celebra, ma riscrive. Non ricostruisce una leggenda, ma ne smaschera i confini e li amplia.

Il percorso espositivo rivela infatti il fermento creativo di Venezia, dove si tenne la prima sfilata congiunta di moda italiana e francese già nel 1926, e di Torino, dove nel 1935 nacque l’Ente Nazionale della Moda. Città che, insieme a Milano, costituivano un sistema policentrico vivace ben prima del dopoguerra. E poi la lavorazione della seta e della viscosa, l’invenzione del Lanital (fibra ottenuta dal latte), le prime strategie di comunicazione, l’alleanza tra sartoria e cinema. Attraverso filmati, cinegiornali (molti inediti) e fotografie, emergono così i legami con il cinema hollywoodiano e il ruolo cruciale di tante figure che hanno promosso un’idea di Italia moderna e creativa.

In quattro sale immersive, 30 anni di storia italiana — culturale, economica, sociale — si intrecciano ai fili dell’alta sartoria. Oltre 50 capi e accessori originali, rarità provenienti da musei (Boncompagni Ludovisi, Palazzo Madama) e archivi privati, si affiancano a cinegiornali, fotografie inedite, documentari d’autore, cataloghi e testimonianze visive. Accanto a nomi iconici della nostra storia come Fortuny, Simonetta Visconti e le sorelle Fontana, la mostra riporta alla luce maison scomparse ma fondamentali come Ventura, Radice, Gandini e Montorsi. Ad accompagnare il visitatore in questo viaggio ci sono le firme note — Gucci, con la sua “numero uno”, una borsa da sera degli anni Venti mai esposta prima; Ferragamo con il mitico “sandalo invisibile” del 1947; un giovanissimo Emilio Pucci con i primi capi ancora etichettati semplicemente “Emilio” — e le maison dimenticate che hanno fatto l’eccellenza italiana: Ventura, Carosa, Gandini, Radice, Villa, Montorsi, accanto alle grandi artigiane come Biki, Simonetta Visconti, Maria Monaci Gallenga. E poi i materiali industriali, le “attestazioni di italianità”, i libri rari, i bozzetti. Una mappa polifonica della creatività: “L’abito racconta più di quel che mostra”, chiosa Simone Verde, direttore delle Gallerie degli Uffizi. “Questa mostra lo inserisce in un contesto che lo rende vivo. Il supporto dei cinegiornali e dell’immagine come documento storico ci aiuta a comprenderne la funzione sociale, oltre la pura estetica”.

C’è spazio anche per il cinema, anzi, per il suo ruolo fondativo nella costruzione di un’immagine d’Italia moderna e seduttiva. Accanto ai cinegiornali dell’Istituto Luce, compare la versione restaurata di Sette canne per un vestito (1948) di Michelangelo Antonioni, e filmati di Romolo Marcellini e Roman Vlad, che svelano quanto fosse già forte il dialogo tra moda e settima arte. Senza dimenticare il confronto con la moda francese e americana, ben documentato nei filmati stranieri fino ai primi anni ’50. “I materiali dell’Archivio Luce costituiscono il cuore visivo e narrativo della mostra”, spiega Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà. “Si ricompone un mosaico di memoria collettiva: le ambizioni, le contraddizioni, le conquiste della moda italiana. Una storia che va raccontata per com’è davvero andata, e che troppo spesso è stata appiattita su una singola data, una singola città”. Ecco perché questa è una mostra che riscrive, reinventa, riaccende. Una vera operazione di restauro culturale che dà voce a chi la moda l’ha fatta quando ancora non si chiamava così.

E da Firenze a Napoli il passo è breve. C’è infatti un filo sottile che unisce le due città. Parte dalle stanze ovattate della Galleria del Costume di Palazzo Pitti e arriva fino al cuore più antico e nobile di Partenope, negli spazi gotici del Complesso Monumentale Donnaregina, dove un’altra mostraReMade in Italy – prende il testimone per proiettarlo nel futuro. Come una staffetta tra generazioni e territori, le due esposizioni si parlano. Se Moda in Luce ha riscritto la genealogia del gusto italiano riportando alla luce la sua nascita diffusa e industriale, ReMade in Italy fa un passo ulteriore: rilegge quella stessa storia attraverso lo sguardo appassionato e inventivo dei giovani, restituendo al “fare moda” la sua vocazione culturale, artigianale, identitaria. In una parola, italiana.

“ReMade in Italy è un atto di meraviglia: un viaggio nell’anima di un Paese che ha fatto della bellezza un destino, dello stile un pensiero, della moda una forma di eternità”, afferma Francesco Maffei, curatore della mostra e docente all’Accademia IUAD – Institute of Universal Art and Design, promotrice del progetto. Il titolo è emblematico: Re-Made, rifatto, ripensato, riattualizzato. A firmare l’ossatura creativa dell’esposizione sono stati 30 giovani designer del secondo e terzo anno del triennio in Design della Moda, che si sono confrontati con i capi e gli archivi delle più importanti maison del Novecento. Il risultato è una collezione vibrante di abiti ispirati a figure che hanno fatto della moda italiana un linguaggio del pensiero: Gabriele D’Annunzio, con la sua estetica totalizzante; Rosa Genoni, pioniera di un’identità stilistica indipendente dalla Francia; Sophia Loren, Raffaella Carrà, icone pop che hanno reso l’Italia riconoscibile nel mondo. Accanto ai prototipi degli studenti, il visitatore può ammirare abiti originali d’archivio, testimoni dell’eleganza e dell’ingegno che hanno fatto grande il nostro paese. Tra questi, le creazioni di Salvatore Ferragamo, Capucci, Schuberth, le Sorelle Fontana, Germana Marucelli e Roberta di Camerino: personalità che hanno unito mestiere e pensiero, materia e spirito, artigianato e avanguardia.

Se Firenze ha dato al Made in Italy il suo battesimo internazionale, Napoli ne incarna lo spirito generoso, barocco, intellettuale. Non è un caso che tra le maison citate compaiano i De Nicola di Napoli, o che la mostra si svolga in un luogo così simbolico: Donnaregina è un corpo architettonico che ha attraversato secoli e culture, proprio come la moda italiana. “Entrare negli archivi è stato come sfogliare un libro vivo, dove ogni tessuto, ogni schizzo, ogni parola racconta chi siamo”, racconta Pasquale Esposito, Direttore Artistico Eventi Moda dell’Accademia IUAD e curatore della mostra. “Per formare davvero le nuove generazioni non basta il ‘saper fare’. È fondamentale conoscere. Gli archivi sono la memoria viva del Made in Italy“. In questo dialogo tra passato e presente, tra maestri e allievi, la mostra diventa un atto politico e culturale. Non si limita a “ispirare”: costruisce consapevolezza.

L'articolo Moda in Luce, a Palazzo Pitti la mostra che riscrive la storia del Made in Italy: un viaggio tra capi iconici, archivi segreti e filmati inediti proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti