Milan-Como di Serie A in Australia per 12 milioni diventa un caso diplomatico: guerra di potere tra Uefa e Lega Calcio

  • Postato il 18 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Dodici milioni di euro per portare una partita di Serie A in Australia. Un’occasione economica, una trovata di marketing, al limite la solita idea un po’ strampalata del calcio moderno, sta diventando in realtà un caso diplomatico internazionale: da una parte la nostra Lega Calcio, che vorrebbe disputare dall’altra parte del mondo, in particolare a Perth, il match Milan-Como; dall’altra la Uefa di Ceferin, che fin qui non si è pronunciata, ma non è per nulla d’accordo e sta cercando in tutti i modi di impedire la trasferta.

Sarebbe la prima volta della Serie A all’estero. La partita storica individuata è Milan-Como, in calendario il prossimo 8 febbraio, quando per le Olimpiadi di Milano-Cortina lo stadio San Siro sarà indisponibile per diverse giornate: l’occasione giusta per realizzare un progetto a cui i vertici della Serie A lavorano da tempo, col beneplacito della Figc. A fronte di alcune critiche, il presidente Simonelli di recente ha sostenuto che “non si tratta di un capriccio, ma di un’esigenza” (come se non ci fosse una sede alternativa nei quasi 14mila chilometri che separano Milano e Perth). In realtà, è solo una questione di soldi, come sempre: l’iniziativa si inserisce nella politica di promozione all’estero su cui la Serie A sta spingendo molto di recente (visto che il mercato interno è piuttosto saturo), in una zona del mondo con buoni margini di crescita. E poi è soprattutto una clamorosa opportunità economica: a quanto risulta al Fatto, gli organizzatori australiani avrebbero messo sul piatto ben 12 milioni di euro, 4 per lo svolgimento dell’evento, 8 da dividere tra i club coinvolti e la Lega. Difficile rifiutare. Manca giusto il via libera dalla Uefa.

La decisione era attesa nell’esecutivo della settimana scorsa, da cui però è arrivato solo un rinvio: “Il Comitato ha riconosciuto che si tratta di una questione importante e in crescita, ma ha espresso il desiderio di raccogliere le opinioni di tutte le parti interessate prima di giungere a una decisione finale”. Comunicato stringato, che però era stato preceduto da una serie di dichiarazioni piuttosto eloquenti, dal presidente Ceferin su Politico (“le squadre europee devono giocare in Europa, perché i loro tifosi vivono in Europa”), al commissario europeo Glenn Micallef (“Spostare le competizioni all’estero non è innovazione, è tradimento”). Il partito contrario all’interno dell’associazione è sempre più maggioritario. Il presidente avrebbe anche mandato una lettera di fuoco alla Serie A e alla Liga (che pure ha avanzato la stessa richiesta, per giocare Villarreal-Barcellona negli Stati Uniti, a Miami, solo che la Spagna deve fare i conti anche con alcune resistenze interne, che fanno capo al Real Madrid, da noi non ci sono), sostanzialmente per intimare di non permettersi mai più di agire così in autonomia. Ma siccome lo stesso n.1 della Uefa ha ammesso che di non avere molto margine d’azione, se Lega e Federazione sono d’accordo, l’impressione è che stia cercando di buttare in politica una questione legale, prendendo tempo per far montare la protesta su vari fronti (istituzioni Ue, opinione pubblica) e trovare una scusa per dire di no.

Siamo di fronte all’ennesimo scontro, nemmeno troppo sottotraccia, per il comando del pallone, in questo caso fra Leghe nazionali e Uefa. Ora, l’iniziativa potrà anche non piacere, si tratta dell’ennesima trovata promozionale di un calcio moderno che ha venduto la sua anima. Per non parlare della follia di infilare un’altra trasferta intercontinentale in un calendario stracolmo: non è un caso ci vadano il Milan, che quest’anno non ha le coppe, e il Como, la cui proprietà indonesiana ha l’occasione di giocare vicino casa; gli organizzatori australiani erano interessati in particolare alle due milanesi, ma l’Inter ha rifiutato, memore forse anche dello stress che comportò l’anno scorso la Supercoppa in Arabia a gennaio.

Però è prassi abbastanza consolidata nello sport quella di portare all’estero degli eventi a fini di marketing: la Nba di basket lo fa da anni, il Giro d’Italia nel ciclismo vende spesso la sua partenza al miglior offerente (Albania, Ungheria, Israele per citare i più recenti). E lo stesso vale appunto per la Supercoppa, italiana o spagnola, con la differenza che in questo caso non si va nemmeno in uno Stato canaglia. La Uefa fa bene a difendere le tradizioni del calcio europeo (Ceferin è forse l’ultimo paladino di questa crociata) ma non deve eccedere nemmeno nelle tentazioni dirigiste. Finché si tratta di un’eccezione, che magari può anche essere codificata (si potrebbe ad esempio fissare un massimo di una partita a stagione da disputare all’estero, con una rotazione dei club e degli Stati ospitanti) non c’è un vero danno al sistema. Così invece il rischio è quello di ottenere l’effetto opposto, perché in caso di diniego immotivato la questione potrebbe finire anche in tribunale, con conseguenze imprevedibili (un giudice potrebbe far cadere tutti i paletti e quella sì che sarebbe un’apertura incondizionata e pericolosa). Le sentenze recenti sulla Superlega e sul caso Diarra, che per ora non hanno ancora avuto effetti concreti ma sono state due batoste pesanti per Uefa e Fifa, sono lì a ricordarlo.

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Il Fatto Quotidiano

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