Mickey 17, Bong Joon-ho gira una spassosa, accattivante, ipermoderna lotta di classe

  • Postato il 7 marzo 2025
  • Cinema
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Muoio spesso”. Il protagonista di Mickey 17 è un Sacrificabile già morto sedici volte. Un “volontario” che per sopravvivere si presta ai peggiori esperimenti medico scientifici propugnati da un ricco vanesio che vuole colonizzare pianeti lontani. Il corpo di Mickey 17 a ogni decesso viene recuperato, scansionato e ristampato identico a prima. Compresa la memoria personale con i propri ricordi del passato salvati su un mattoncino e poi reinstallati nel cranio con cavetti. Saranno dei vermoni giganti alla Tremors a instillare negli sfruttati umani il seme della rivolta.

Una nuova puntata della lotta di classe anni duemila chez Bong Joon-ho è servita. Il cineasta premio Oscar per Parasite torna a mostrarci con fervida verve visionaria disumanizzanti gerarchie sociali, e annesse ribellioni, delineate da denaro e potere, con una raffinata immersione satirica e grottesca nello sci-fi. Snowpiercer e, appunto, Parasite ce lo avevano già metaforicamente segnalato. All’ostinato e divertito creatore coreano di linee spaziali e socio-economiche alto/basso, qui ricopiate su una futuribile astronave e su un pianeta ghiacciato e ostile, interessa stuzzicare lo spettatore nel guardare lo schermo come fosse uno specchio classista.

Pieno di debiti fino al collo, Mickey (un Robert Pattinson magnificamente imbranato e intontito) fugge da un sadico potentissimo usuraio che gode di più a vedere i debitori insolventi tagliati a pezzi con una sega elettrica che a recuperare i soldi prestati. Per saltare la lunga fila di fuggiaschi, Mickey si arruola come “sacrificabile” sull’astronave comandata tra video dementi e ordini draconiani da un viscido politico trombato alle elezioni (Mark Ruffalo) che giungerà dopo 4 anni sul gelido e colonizzabile pianeta Nilfheim.

Nel lungo viaggio il ragazzo morirà in maniera indotta da un pool di scienziati sperimentatori, appunto, sedici volte: cinque solo per testare un vaccino; un paio rimanendo nello spazio per registrare l’effetto delle radiazioni del cosmo; altre anche solo per vedere gli effetti di un nuovo cibo ingerito. Sull’astronave vigono rigide regole sul consumo di calorie, su quello che si deve mangiare, sul sesso sconsigliato se non proprio vietato, in un sistema orwelliano venato di idiozia (Ruffalo è un mix tra Musk e Trump), gabbie, punizioni, violenza e perfino un assaggio di Squid Game.

La stralunata sagoma in tutina di Mickey diventerà oggetto del desiderio di una innamorata poliziotta (Naomi Ackie), ma anche matrice per un “Multiplo” da eliminare a tutti i costi. Tra favolistica e infantile voce fuori campo del protagonista e cenni di bizzarre soggettive, Mickey 17 inizia nel 2054 poco prima della 17esima morte del protagonista tra i ghiacci, plana in un corposo flashback sulla Terra, poi si ricolloca in interni ristretti, cigolanti e futuristici da caserma/carcere in movimento, e di nuovo atterra tra le lande ghiacciate e rocciose di un pianeta zeppo di vermoni, possibili alleati del protagonista sottomesso grazie ad una ardita comunicazione tra versi.

La cifra stilistica di Bong rimane inimitabile e gagliarda, basata su un senso dell’immagine che trasuda sempre di politico. Più inconsciamente marxista di un qualsiasi spigoloso ruvido spezzone di cinema di Yorgos Lanthimos, l’opera filmica di Bong è una spassosa, accattivante, ipermoderna rappresentazione di una conflittualità socio-economica orientata sulla sempiterna fede cieca verso il verbo del potere, sul paradossale e reiterato sacrificio per il padrone (la riproduzione dello schiavo dopo morte indotta come catena di montaggio è un’intuizione geniale).

In fondo quel farsi andar bene (“è un incarico estremo ma divertente”) l’essere continuamente uccisi per interessi supremi, e non ben codificabili, è quanto di più aderente all’ignorante passività delle masse contemporanee di fronte alla disumanità del capitale globale e finanziario. Tanti, forse anche troppi, i sottotesti in scena (quello sulla colonizzazione di un altro pianeta modello Dune, ad esempio, è sfiorato ma non del tutto sviluppato); anche se Bong, soprattutto verso l’ora e mezza, quando nella storia deve accendersi la scintilla della ribellione e le sottotrame sembra fatichino a girare, mantiene saldo il timone dell’operazione appoggiandosi al sarcastico e tagliente chiaroscuro fotografico dell’iraniano Darius Khondji (Seven, Civiltà perduta), al finto avveniristico comico sfondo tecnologico dell’eclettica production designer Fiona Crombie (La favorita) e al montaggio invisibile ma ipertrofico del fido Jinmo Yang. Tratto da un romanzo di Edward Ashton, Mickey 17 è prodotto dalla Warner Bros.

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Il Fatto Quotidiano

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