Metà medici e metà malati, noi italiani siamo così
- Postato il 1 agosto 2025
- Di Panorama
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Trenta milioni di italiani si credono malati. Trenta milioni di italiani si credono medici. Però gli italiani non sono sessanta milioni, ma un po’ meno, direte voi; si, ma tanti si credono sia medici che malati. Mezza Italia si sente malata per statuto, vezzo o vizio, perché ha paura delle malattie, è ipocondriaca e patofobica, oppure più candidamente vuole attenzione, coccole, cerca alibi per la propria vita, si dà malata per imboscarsi o perfino per civetteria. Mezza Italia, invece, ha la sindrome del santone e del risolutore, la vanità del saputello, si sente assistente dell’umanità e soccorritore, consigliere supremo, uomo di mondo, conoscitore della vita e delle sue patologie. Nel mezzo ci sono quelli che si sentono malati e perciò sono diventati medici fai-da-te per autocertificazione; o viceversa credendosi medici si sentono poi addosso tutte le malattie di cui vengono a sapere.
Il bello è che sia quelli che si credono malati sia quelli che si credono medici attingono le loro diagnosi, i loro malesseri e le loro malattie navigando su Internet. Come il potere politico cambiò volto col suffragio universale e ciascun cittadino si sentì sovrano, così la medicina ha cambiato volto con Wikipedia e il Web, e ciascun utente si sente medico e paziente, autarchico e sovrano. Il medico è interpellato solo per un consulto, una conferma o una prescrizione ma la diagnosi me la scarico da Internet, lui deve solo certificarla o fornire utili supporti. La sovranità fai-da-te è una malattia del nostro tempo e si manifesta in alcuni ambiti particolari: i medici, gli infermieri, ma anche gli insegnanti sono spesso vittime di aggressioni, in ospedale, al Pronto soccorso o a scuola. Il sottinteso è che l’utente, il paziente, il parente del malato, o il genitore dell’alunno, crede di saperne più di quel che sanno il dottorino o la professorina, e quindi li incalzano, li minacciano, li menano se non corrispondono al protocollo-selfie dell’utente. E devi vedere come interrogano i medici, come obiettano quando le loro diagnosi e le loro terapie non corrispondono a quel che hanno letto su internet. Un tempo i medici esercitavano un potere magico sulla gente, suscitavano timore, reverenza ed ubbidienza; oggi succede solo se la malattia avanza e lo smartphone non basta.
Al telefono, al bar, a tavola, al lavoro, il gioco preferito degli italiani è al medico e all’ammalato. È un po’ come guardie e ladri o uomini e caporali. I discorsi di contorno sono la cucina, i viaggi, le vacanze, i vestiti; con qualche fastidio si accenna alla politica, alle tasse e ai disservizi, con annesse invettive. Ma dove viene fuori l’interesse vero delle persone è quando confessano i propri malanni, lamentano dolorini, misteriosi disturbi. In fondo è una derivazione di quella famosa gag napoletana: comme me pesa ‘sta capa, ué. Un tempo c’era il pudore di confessare malattie, si arrivava a simulare salute anche quando c’erano problemi, temendo di fare brutta figura o di suscitare malocchio. Ora siamo nell’epoca del vittimismo universale, ed avviene il contrario: cerchiamo di essere compatiti, scusati, amati perché cagionevoli, chiediamo benevolenza, cerchiamo di destare attenzione e moine.
Fino a qualche anno fa, la parola che metteva fine a ogni disturbo, la diagnosi passepartout per chiudere un discorso tra incompetenti, era una: è lo stress, sei molto stressato, sono molto stressata. I più perfidi accusavano dello stress i partner, i figli, le suocere, il capo ufficio. Ora, invece, la soluzione psicologica con risvolto sociologico non basta più, e su Internet si trova un campionario ricco di malesseri che esalta la fantasia e la “saputeria”. L’atteggiamento prevalente di chi invoca la patente di malato è però la riluttanza: si denuncia il malessere ma si è restii, svogliati o refrattari ai controlli; piace dichiarare il male, non risolverlo ma crogiolarvisi; si ha paura di andare poi dal medico, o perché si teme di scoprire brutti mali o perché si teme di scoprire che non hanno niente, e perdono così lo ius lagnae, il diritto a lamentarsi e lo statuto-alibi di cagionevoli. A volte c’è chi si vanta perfino di trascurarsi, con grave sprezzo del pericolo. Però non rinuncia alla rappresentazione teatrale del suo malessere; quella non può togliergliela nessuno. Lasciatemi godere delle mie sofferenze.
Dietro queste due categorie, il medico autodidatta e il malato autocertificato, si celano due tipi umani assai diffusi, che in fondo vivono in simbiosi mutualistica, come il paguro e l’attinia: quello che rovescia sugli altri i fatti suoi, sfoga e scarica i problemi suoi sugli altri, perché è narcisista, vittimista ed esibizionista patologico; e quello che non si fa mai i fatti suoi ma ama farsi i cavoli altrui, s’intromette, prescrive cosa devi fare, è invadente ed invasivo, ed è anche lui – in fondo – egocentrico patologico. Insieme sono una coppia perfetta, uno completa l’altro, uno soddisfa l’altro e insieme appaga la sua vanità e la sua vena egotica.
Ma i casi in cui combaciano sono statisticamente rari: spesso si incontrano malatini che si rubano a vicenda la scena, o medicuzzi che rivaleggiano sui rimedi, o malatini diffidenti dei medicuzzi e medicuzzi che vedendo i malatini refrattari ai loro consigli, li seppelliscono con una sentenza: se la merita la malattia; se l’è cercata. Amen.