Meloni apre a 500mila stranieri. Ma il decreto flussi è la copia del precedente: più irregolari che lavoro
- Postato il 1 luglio 2025
- Politica
- Di Il Fatto Quotidiano
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Nuova legge, stesse regole: cosa mai può andare storto? Il Consiglio dei ministri ha appena partorito il nuovo decreto flussi per l’ingresso in Italia di 497 mila lavoratori stranieri nel triennio 2026-2028, con 230 mila unità per lavoro subordinato non stagionale e autonomo e 267 mila stagionali nei settori agricolo e turistico. Oltre ai numeri – il precedente decreto prevedeva 452mila quote -, nemmeno le regole sono cambiate e la realtà rischia di essere la stessa: a fronte di 38 mila visti di ingresso, nel 2023 sono stati rilasciati 9 mila permessi di soggiorno per lavoro, appena il 7,5 per cento delle 136 mila quote previste per quell’anno. Significa che fino a 30 mila persone sono entrate in Italia grazie alla procedura me senza riuscire a regolarizzarsi. In altre parole, il primo decreto flussi di Meloni ha prodotto soprattutto irregolari, fornendo una risposta irrisoria a una domanda di manodopera strutturale.
“Il sistema è disfunzionale, gravato da bizantinismi normativi ormai pluridecennali e da lungaggini burocratiche incompatibili con le esigenze di datori che per tre quarti sono privati in cerca di un badante o aziende sotto i dieci dipendenti”, spiega Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche Idos che pubblica ogni anno l’omonimo Dossier sull’immigrazione. Problemi noti e tuttavia da ribadire vista la sordità del legislatore, che “ancora ignora la necessità di un intervento strutturale”, ha dichiarato dopo il varo del nuovo decreto la segretaria confederale della Cgil, Maria Grazia Gabrielli. Tre le priorità: una procedura di regolarizzazione per tutti i settori economici e produttivi, l’accesso alle quote per chi è già nel territorio nazionale, la possibilità di rilascio di un permesso di soggiorno per ricerca di occupazione anche ricorrendo a figure di sostegno per l’inserimento socio lavorativo. “Per restituire condizioni di regolarità nei titoli di soggiorno e per sottrarre forza lavoro dalla condizione di irregolarità, costantemente alimentata dagli esiti delle procedure dei flussi”, denuncia il sindacato.
Nel merito di questa denuncia i numeri sono incontrovertibili. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla procedura, alla quale la solita, vecchia legge Bossi-Fini ancora impone una rigida correlazione tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, rendendo quasi impossibile mantenere o recuperare la regolarità e spingendo le persone nel sommerso. Il potenziale datore deve indicare nominalmente una persona che si ritiene essere ancora nel Paese d’origine e presumibilmente senza conoscerla, il che è paradossale per la maggior parte dei datori che si rivolgono al decreto flussi: affidereste un genitore anziano e la sua casa a una persona che non avete mai visto in faccia? Ma andiamo oltre. Ottenuto il nulla osta, lo invia al lavoratore che presso un consolato chiederà il visto per entrare in Italia, il cui rilascio ha comportato mediamente un’attesa di 121 giorni nel 2023: “un periodo incompatibile con i 20 giorni dalla data di presentazione della domanda previsti dalla legge” (Dossier statistico immigrazione Idos – 2024). Ed è qui che i numeri sbandierati nei decreti iniziano a subire un’emorragia inesorabile. Quelli del 2023: 74.445 nulla osta (il 56% delle quote annuali), 37.790 visti rilasciati (il 29,6% delle quote), 16.188 contratti effettivamente sottoscritti (il 13% delle quote), per 9.528 permessi di soggiorno ottenuti: il 7,5% delle quote previste. Nel 2024 si ripete, con il 7,8% e per il 2025, dice la Cgil,
Parlare di flop sarebbe riduttivo. Perché, oltre a produrre una quota trascurabile di lavoro regolare a fronte un’esigenza del sistema produttivo calcolata in oltre 800 mila lavoratori stranieri per il solo triennio 2023-2025, il decreto flussi di Meloni ha prodotto irregolarità, proprio quella che si vuole combattere. In parte dovuta al mercimonio delle quote da parte di criminalità italiana e non. Per citare la premier, “significa che i flussi regolari di immigrati per ragioni di lavoro vengono utilizzati come canale ulteriore di immigrazione irregolare”, spiegava un anno fa annunciando strumenti di contrasto. Ma a produrre irregolarità sono anche i tempi degli uffici preposti: “A fine novembre, 11.013 persone per i flussi 2023 e 10.869 per i flussi 2024 erano ancora in attesa di fare ingresso in Italia nonostante il nulla osta rilasciato”, spiega la campagna “Ero Straniero“, che da anni analizza e denuncia le storture dei decreti flussi. E poi c’è l’assenza di sanzioni contro la mancata assunzione da parte di datori che, per varie ragioni, alla fine non si presentano in Prefettura per firmare il contratto. Infine c’è la possibilità di offrire contratti brevissimi, scaduti i quali il lavoratore irregolare subisce spesso il potere ricattatorio che la legge stessa attribuisce al datore: senza strumenti per regolarizzare chi è già in Italia denunciare è pericoloso e si rischia l’espulsione. “In agricoltura si stimano oltre 200 mila lavoratori immigrati attualmente irregolari nel nostro Paese, proprio a causa di permessi scaduti e mai rinnovati”, conferma il segretario generale Fai-Cisl, Onofrio Rota.
“Ogni giorno riceviamo lavoratori entrati con il nulla osta, con il visto che scadrà, ma che poi non trovano chi li aveva chiamati e sono qui senza lavoro, o con un lavoro in nero, senza un titolo di soggiorno, ricattati e indebitati”, è il commento al nuovo decreto flussi di Stefano Morea, segretario generale Flai Cgil Roma e Lazio, e Laura Hardeep Kaur, segretaria generale Flai Cgil Frosinone Latina. “Mentre il 90% dei lavoratori tra il 2024 e il 2025 sono condannati a diventare schiavi da sfruttare nelle nostre campagne, soggetti ad ogni tipo di ricatto dopo che chi li ha chiamati qui non li ha assunti, il governo decide di far entrare altri 267 mila lavoratori definendoli “manodopera indispensabile al sistema economico e produttivo nazionale e altrimenti non reperibile””, continuano, chiedendo l’obbligo all’assunzione e permessi per l’attesa occupazione per chi ha visto “sparire” il datore di lavoro, strumento al quale invece le prefetture ricorrono in modo discrezionale e senza intaccare l’irregolarità prodotta dal sistema: appena 84 i permessi per attesa occupazione concessi per i flussi 2023. “Il problema – proseguono Morea e Kaur – non è che manca manodopera nelle campagne, manca chi è disperato a tal punto da lavorare a qualsiasi condizione, mancano gli schiavi e hanno deciso di crearli, di nuovo, per legge”, attaccano. “Moltissimi di questi lavoratori si rivolgono alle nostre sedi, tanti chiedono giustizia, rispetto e dignità, molti trovano con noi il coraggio di denunciare e non è tutto vano, qualcosa si muove”.
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