Meloni alla Casa Bianca: Debito Usa, la richiesta di Trump

  • Postato il 17 aprile 2025
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Meloni alla Casa Bianca: Debito Usa, la richiesta di Trump

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Gli occhi del mondo sull’incontro della premier alla Casa Bianca, Trump solleciterà Meloni all’acquisto europeo dei T-Bond: «O con noi o con la Cina». Von der Leyen: «L’Occidente non esiste più». Dazi, la California fa causa al governo.


Dicono, fonti di governo, che all’ultimo tuffo nell’agenda- Washington Giorgia Meloni abbia dovuto inserire un punto nuovo e delicatissimo: Donald Trump potrebbe chiedere all’Italia, e tramite noi anche ai paesi dell’Unione, la disponibilità ad acquistare debito pubblico Usa. La Cina sta vendendo a mani basse la sua quota (l’8,92% del totale del debito Usa che ammonta a 36.200 miliardi di dollari) come controffensiva ai dazi Usa e questo sta piegando le ginocchia a Wall street e ai piani di The Donald.

LA RICHIESTA SUL DEBITO USA CHE POTREBBE PROPORRE TRUMP NELL’INCONTRO ALLA CASA BIANCA CON LA PREMIER MELONI

L’Italia non rientra nella graduatoria dei primi venti sottoscrittori globali del debito Usa. Il continente europeo, però, ovvero la somma degli stock detenuti da Regno Unito, Lussemburgo, Belgio e Irlanda, Francia, Svizzera, Norvegia e Germania, tocca la quota del 32 per cento del debito americano in mani straniere, in valore assoluto sono circa 1500 miliardi. Una cifra che supera Cina e Giappone. Rischia di essere questa la vera e imbarazzante richiesta americana all’Italia e all’Europa: aiutarli contro la Cina, fare massa critica contro Pechino. Tutto il resto – acquisto di gas liquido, armi, trasferimento di imprese e mano d’opera – sarebbero le variabili opzionali di un piatto unico e ben più impegnativo come acquistare debito.

MELONI ALLA CASA BIANCA, INCONTRERÀ TRUMP: IL RUOLO DELL’ITALIA E DELL’EUROPA

La premier è partita ieri nel primo pomeriggio da Roma ed è attesa a Washington intorno alle 22 ora italiana. Se i dazi e la parte economica saranno il piatto forte dell’atteso bilaterale, la premier italiana sa bene di dover giocare un ruolo importante nella partita più delicata che riguarda la tenuta dell’alleanza euroatlantica e dell’Occidente, di quel sistema di valori e diritti che da ottant’anni definisce le democrazie occidentali e di cui gli Stati Uniti sono sempre stati il pilastro gemello a quello europeo. Non è una partita secondaria.

Parlare di diritti, libertà di pensiero e di parola, in questo caso non è un lusso bensì il fondamento dall’alleanza Europa-Usa da cui poi è derivato nei decenni tutto il resto: difesa, sostegno economico, materie prime, commerci, alleanze. Anzi, nelle interlocuzioni degli ultimi giorni con Ursula von der Leyen, il richiamo alla tutela del sistema di pesi e contrappesi della democrazia è diventato centrale. Non solo dazi, quindi.

L’AMERICA DI TRUMP: ATTACCO ALLE ISTITUZIONI

Il problema è che gli Stati Uniti dove è atterrata ieri sera Giorgia Meloni sono già molto diversi da quelli cui siamo abituati e che, con pigrizia, abbiamo dato per scontati. L’attacco alle università – tagli di fondi, censura su alcune materie e docenze – è solo l’ultima offensiva all’America che, con tutti i suoi difetti, ha alimentato il sogno americano basato su uguaglianza, volontà e merito. Il presidente Usa ha già firmato decine di ordini esecutivi per cancellare gli obbrobri dell’ideologia woke che certo ha fatto danni come tutti gli eccessi.

E se, anche giustamente, sono state ripristinate state e memoriali che erano stati cancellati negli ultimi cinque anni per fare spazio ad una falsa revisione della storia, la furia di Trump sta facendo ben altre vittime: lacci ai sindacati, tagli, intimidazioni a giudici e studi legali. Una vera offensiva contro l’America e i sistemi di pesi e contrappesi tipici di una democrazia.

TAGLI AL PERSONALE FEDERALE E SMANTELLAMENTO DI ISTITUZIONI

L’amministrazione annuncia continui tagli di personale federale: 10 mila dipendenti della sanità, un terzo di quelli del fisco, 8% in meno anche al Pentagono. Il ministero della Pubblica istruzione è stato di fatto smantellato così come l’agenzia Us Aid che garantisce presidi di solidarietà e assistenza nei luoghi più dimenticati del mondo. Ordini esecutivi di The Donald hanno modificato il modo in cui lo Smithsoninan e i musei federali raccontano la storia degli Stati Uniti. Altri executive order hanno colpito prestigiosi studi legali colpevoli di aver dato assistenza legale in cause contro Trump (tutte quelle dell’assalto a Capitol Hill, ad esempio). I sindacati sono stati messi alle corde impedendo nei fatti la contrattazione collettiva per “motivi di sicurezza nazionale”.

CONFLITTO CON IL PARLAMENTO E LA MAGISTRATURA

Tutto questo, tra l’altro, ignorando le competenze del Parlamento, in contrasto con le leggi e anche con la Costituzione. Il NYT ha dedicato numerosi articoli in queste settimane al rischio della tenuta democratica e di quel sistema di checks and balances che è l’America contemporanea. Lo stesso Parlamento sembra essere stato pietrificato dal ciclone Trump. L’unico ostacolo è la magistratura e si capisce così perchè sia quotidiana la campagna di discredito di Trump & C contro i giudici. In queste ore, mentre l’università di Harvard ha detto basta e si propone, con la bellissima lettera del rettore Alan Garber, come avamposto della “resistenza” a Donald Trump, circola la voce che presto il Presidente Usa potrebbe alzare la scure anche sulle emittenti tv pubbliche.

HARVARD E LA RESISTENZA DELLE UNIVERSITÀ

Ad Harvard l’amministrazione ha tagliato in pochi giorni 2,2 miliardi di dollari in sovvenzioni e 60 milioni di contratti. E’ stato il prezzo per aver detto no alla richiesta di smantellare gli accampamenti pro-Gaza, no al taglio dei programmi dedicati alla diversità e no alla revisione dei criteri di ammissione di docenti e studenti in base alle posizioni politiche e all’esposizione pubblica. “Harvard è una barzelletta, non merita fondi” ha scritto ieri Trump sui social. Le università stanno reagendo e facendo muro: Columbia, Stanford, Mit, Yale, Boston stanno dicendo no a Trump. E’ questa l’America in cui ieri sera ha messo piede la premier Meloni per il suo primo bilaterale ufficiale con il Presidente degli Stati Uniti. Potremmo anche acquistare debito. Ma la premier italiana, anche a nome dell’Europa, dovrà prendere posizione netta su questo scempio che ci riguarda tutti da vicino.

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