Manovra, Bankitalia boccia la detassazione dei rinnovi contrattuali: “Paghino le imprese, non il bilancio pubblico”
- Postato il 6 novembre 2025
- Speciale Legge Di Bilancio
- Di Il Fatto Quotidiano
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Il governo l’ha presentata come una misura che dovrebbe “favorire l’adeguamento salariale al costo della vita”. Ma per la Banca d’Italia la detassazione dei rinnovi contrattuali è un intervento “improprio”, perché assegna al “bilancio pubblico“, invece che alle imprese che pure potrebbero farsene carico, “il compito di recuperare il potere d’acquisto perduto” dai lavoratori. Non solo: il vicecapo del Dipartimento Economia e Statistica, Fabrizio Balassone, in audizione davanti alle commissioni Bilancio sulla manovra 2026 ha previsto che quella mossa politica difficilmente avrà davvero l’effetto di accelerare le trattative per il rinnovo dei contratti nazionali scaduti. I principali ccnl che potranno beneficiarne, ha detto, “riguardano soprattutto settori in cui le trattative per il rinnovo sono già avviate o che storicamente rinnovano con ritardi modesti”. Balassone ha poi confermato l’analisi dell’Istat, sul taglio dell’aliquota Irpef dal 35 al 33%, dicendo che “favorisce i nuclei dei due quinti più alti della distribuzione dei redditi”.
La detassazione bocciata
L’aliquota ridotta al 5% scatterà per il solo 2026 sugli incrementi retributivi derivanti da contratti collettivi sottoscritti nel biennio 2025-26, a favore dei lavoratori dipendenti con redditi annui non superiori a 28 mila euro. L’obiettivo dichiarato è compensare la perdita di potere d’acquisto e stimolare una più rapida chiusura dei rinnovi contrattuali, in coerenza con la recente legge delega sulla contrattazione. Ma per la Banca d’Italia “è improprio assegnare al bilancio pubblico il compito di recuperare il potere d’acquisto perduto dai lavoratori”, soprattutto “quando la redditività delle imprese può consentire che questo avvenga attraverso la contrattazione”. Se è vero che tra la fine del 2019 e il 2023 le retribuzioni reali orarie nel settore privato si sono ridotte di oltre dieci punti percentuali, recuperandone solo tre entro il 2025, insomma, adesso a pagare pienamente il costo dei necessari aumenti dovrebbero essere le aziende. Peraltro la capacità della norma di accelerare i rinnovi appare ridotta: circa il 40% dei dipendenti privati è già coperto da contratti firmati prima del 2025 ma con scadenza successiva al 2026, quindi esclusi dall’agevolazione. Tra questi rientrano settori chiave come commercio e turismo, dove il potere d’acquisto si è eroso più che altrove. I contratti che potranno beneficiare della misura riguardano comparti nei quali le trattative sono già avviate o che storicamente rinnovano con ritardi modesti, riducendo ulteriormente l’impatto dell’incentivo.
A ciò si aggiungono diverse incertezze applicative: non è chiaro cosa si intenda per “incremento retributivo in attuazione di rinnovi contrattuali”, se la soglia di reddito vada riferita all’anno precedente o a quello in corso, né come i sostituti d’imposta potranno individuare le voci salariali agevolabili, considerato che nei modelli CUD non sempre è indicato l’inquadramento del lavoratore. In sintesi, conclude Bankitalia, si tratta di una misura di respiro limitato: un segnale politico più che un reale strumento di recupero salariale.
Effetto redistributivo debole
Nel complesso, l’effetto redistributivo della manovra resta debole. Le misure per le famiglie e i lavoratori “non modificano in modo significativo la disuguaglianza dei redditi disponibili”, si legge nelle conclusioni. Anche la revisione dell’Isee, che interviene su franchigie e scale di equivalenza, tende a favorire le famiglie con figli e proprietarie di prima casa, ma non incide in modo sostanziale sulla redistribuzione. Peraltro “le modifiche all’Isee dovrebbero essere introdotte con parsimonia”, ha avvertito Balassone, “per non snaturare la funzione dello strumento e mantenere un’adeguata capacità selettiva”. A beneficiarne saranno infatti soprattutto i nuclei con più componenti e con patrimoni immobiliari medi, mentre per i giovani e gli stranieri che vivono in affitto gli effetti potrebbero essere più limitati.
Nella relazione, Bankitalia sottolinea che al di là di questa manovra di bilancio, si può stimare che gli interventi disposti nel periodo 2022-25 abbiano più che compensato, nel complesso, l’impatto negativo esercitato sui redditi delle famiglie dal drenaggio fiscale e dall’erosione dei trasferimenti causati dall’inflazione. La differenza tra l’effetto delle misure di sostegno (rivolte principalmente ai redditi medio-bassi) e quelli del drenaggio è maggiore per i primi quattro quinti della distribuzione del reddito. Nell’accezione utilizzata per effettuare la stima, il drenaggio fiscale si registra solo quando si è in presenza di una crescita dei redditi dovuta all’adeguamento all’inflazione ma i parametri che determinano la progressività dell’imposta rimangono invariati.
Sul rinvio dell’aumento dell’età pensionabile c’è un “problema di equità tra generazioni”
Sul fronte previdenziale, la manovra si limita a rinviare di un mese – invece che di tre – l’aumento dell’età pensionabile previsto dal 2027, sospendendo fino al 2029 l’adeguamento per i lavori gravosi. Una misura che costerà 0,5 miliardi nel 2026 e fino a 1,8 miliardi nel 2027. “L’intervento non modifica le tendenze di fondo del sistema pensionistico – ha osservato Balassone – e lascia irrisolte le sfide legate all’invecchiamento della popolazione e all’equilibrio di lungo periodo della spesa”. In futuro “sicuramente sarebbe meglio non toccarlo troppo questo meccanismo di adeguamento” perché “c’è un problema di equità generazionale – ha osservato – e abbiamo questo aumento di spesa che può complicare e molto la gestione della finanza pubblica”.
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