Magistratura e Hamas, le spine di Netanyahu (che incassa il sostegno di Trump)

  • Postato il 23 aprile 2025
  • Esteri
  • Di Formiche
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La notizia che da Gerusalemme risalta più di altre è quella del silenzio di Bibi Netanyahu sulla scomparsa di papa Francesco, con la rimozione dei messaggi di cordoglio delle ambasciate. Ma ce ne sono almeno altre due molto significative in chiave conflitto mediorientale: il possibile colpo di stato contro il premier per il caso di Ronen Bar, sollevato dal suo incarico e pronto a chiamare in causa la Corte Suprema, e la volontà governativa di combattere Hamas (recuperando i rapiti). Il tutto intrecciato sul dialogo programmatico con la Casa Bianca.

Il caso Bar

La Corte Suprema in sostanza ha rimandato il licenziamento di Bar e sul punto Netanyahu si difenderà con una contromemoria, con molte voci pronte a sostenere che in caso di conflitto prolungato con la magistratura ci sarebbe de facto un colpo di Stato al fine di togliere potere al premier. Il numero uno dello Shin Bet è stato licenziato per una rottura di fiducia da parte del primo ministro, ma le indagini della magistratura hanno messo tutto in stand by mentre nel Paese si assiste ad una sollevazione da più parti guidata dagli oppositori di Netanyahu.

L’ufficio di Netanyahu ha dichiarato di aver chiesto a Bar di prendere provvedimenti contro i “trasgressori della legge”, riferendosi agli attivisti che protestano contro il suo governo. Nello specifico “il primo ministro non ha mai chiesto restrizioni per alcun manifestante, ma ha fatto un’evidente richiesta al capo dello Shin Bet: adempiere al suo dovere nei confronti dei trasgressori della legge che minacciano la sua vita o la sicurezza della sua famiglia e violano il suo perimetro di sicurezza”, c’è scritto nella nota ufficiale del governo. Di contro Bar ha scritto una lunga memoria per raccontare che Netanyahu lo aveva esortato a perseguire i manifestanti antigovernativi, a politicizzare lo Shin Bet e a tentare di ritardare il suo processo per corruzione con pretesti di sicurezza.

La guerra

La questione si mescola fisiologicamente alla guerra a Gaza, ma con un rafforzamento della coalizione di governo che, seppur monca di alcuni nomi come l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si è rafforzata spostandosi ulteriormente a destra puntando su esponenti come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich. Israele, è la posizione di Netanyahu, “non ha altra scelta” che continuare a combattere a Gaza, e promette di non poter porre fine alla guerra prima di aver distrutto Hamas, mentre gli attacchi israeliani non si fermano. Sostiene inoltre che Hamas ha respinto l’ultima proposta di Israele di liberare metà degli ostaggi in cambio di un cessate il fuoco prolungato.

Le relazioni internazionali

La questione è parallela al fronte esterno, che vede Netanyahu impegnato sul doppio fronte commercio e Iran. Temi di cui ha discusso ieri al telefono con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump: “La chiamata è andata molto bene. Siamo dalla stessa parte su ogni questione”, ha commentato Trump sulla sua piattaforma social. Come è noto, Washington e Teheran hanno dato vita ai colloqui sul programma nucleare iraniano, prima in Oman e poi a Roma, alla presenza del Ministro degli Esteri Abbas Araghchi, l’artefice dell’accordo nucleare del 2015, mentre la delegazione statunitense era guidata dall’inviato presidenziale speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff.

Secondo la stampa americana Trump avrebbe dissuaso Israele dall’attaccare i siti nucleari iraniani al fine di far proseguire la strada della diplomazia, ma di contro Netanyahu ha detto chiaramente che se Washington insistesse con i colloqui con l’Iran, Israele non gli permetterebbe mai di sviluppare un’arma nucleare. I dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica rivelano infatti che Teheran ha arricchito l’uranio al 60%, un livello vicino al 90% necessario per produrre armi.

Autore
Formiche

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