“L’università non è una fabbrica di laureati da inserire nel lavoro”: parla Patrizia Lombardi, fondatrice della Rus
- Postato il 1 luglio 2025
- Responsibility
- Di Forbes Italia
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Articolo tratto dal numero di giugno 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
Alma mater, ‘madre nutrice’. Recuperiamo la locuzione latina in riferimento all’università come luogo di studio e confronto dello sviluppo sociale, economico e culturale del territorio e della società. E tale può e deve tornare a essere, uscendo dallo schema università-lavoro che ne è elemento qualificante, ma non esclusivo. In questa direzione va la Rete italiana delle università per lo sviluppo sostenibile (Rus), fondata e diretta per sei anni da Patrizia Lombardi, vice rettore per campus sostenibile e living labs del Politecnico di Torino.
L’università non serve a trovare un posto di lavoro, ma a costruire il proprio futuro.
Per troppo tempo si è pensato all’università come a una fabbrica che produce laureati da inserire nel mondo del lavoro. Una specie di catena di montaggio del sapere, finalizzata a un ‘posto’. Oggi questo approccio mostra tutti i suoi limiti. Il lavoro non è più garantito da un titolo, il mondo è in rapido cambiamento e il valore di un percorso universitario non può essere misurato solo in termini occupazionali. L’università può essere considerata più propriamente una piattaforma che connette e offre opportunità. Forma professionisti, certo. Ma anche cittadini attivi, imprenditori responsabili, amministratori visionari, leader maturi. Ecco perché, oggi più che mai, l’università non può essere vista solo come un percorso professionalizzante, ma come un laboratorio per la costruzione del proprio futuro. Un luogo dove si apprendono conoscenze, ma anche e soprattutto strumenti: il pensiero critico, la capacità di analizzare e risolvere problemi, la flessibilità mentale, la consapevolezza sociale. Tutto ciò che serve non solo per trovare un lavoro, ma per creare valore, per diventare cittadini attivi, per immaginare e realizzare nuovi scenari.
Ma è chiaro a tutti?
Non proprio. Molte famiglie iscrivono i propri figli con l’idea – legittima – che l’università debba dare risposte occupazionali concrete. E spesso si sentono traditi quando questo non avviene. La verità è che c’è ancora un forte scollamento tra formazione e lavoro, tra aspettative e realtà. Non è colpa degli studenti. Né lo è, del tutto, delle università. Ma è il segno di un sistema che non ha ancora chiarito fino in fondo a cosa serve studiare. L’università deve offrire gli strumenti per muoversi nel mondo, riconoscere le opportunità e costruire reti. In conclusione, dire che l’università ‘non serve a trovare un lavoro’ può sembrare provocatorio. Ma è anche un invito. Un invito a ripensare il senso dello studio, a superare la logica della semplice utilità immediata e a scommettere sulla formazione come investimento di lungo periodo. Perché il futuro non si trova. Si costruisce. E l’università, con tutti i suoi limiti, resta uno dei pochi luoghi dove questo è ancora possibile.
Per futuro si intende anche quello del territorio, del tessuto economico e sociale e del sistema Paese. L’università è il luogo della consapevolezza e della maturità dei leader?
Certamente. Le università hanno un impatto profondo sulla vita collettiva. Alimentano la ricerca, l’innovazione, il pensiero critico, la consapevolezza sociale. Possono contribuire a rigenerare aree marginalizzate, a rafforzare economie locali, a promuovere sostenibilità e giustizia sociale. Per questo l’università non è solo un luogo di apprendimento, ma un volano di sviluppo per il territorio e le comunità, serve ad affrontare le sfide del presente. L’università non è solo un ascensore sociale. È un bene pubblico. Non è solo una palestra per il lavoro, ma una fucina di cittadinanza, di innovazione e di futuro. E proprio per questo va sostenuta, ripensata e valorizzata: per il bene di tutti. Non è un’utopia. È una responsabilità. E chi studia oggi — in qualunque disciplina — ha la possibilità di contribuire attivamente al futuro del Paese, se formato con gli strumenti giusti e se messo in grado di costruire ponti tra sapere e società. È questa l’idea di leadership alla quale possiamo far riferimento: non più basata solo su competenze tecniche, ma su maturità etica, visione sistemica, capacità di ascolto e innovazione sociale. L’università è spesso il luogo dove questa leadership si forma. Dove i futuri decisori imparano a pensare in termini di bene comune, e non solo di carriera personale.
In questo senso la Terza missione è stata ribattezzata ‘valorizzazione della conoscenza’.
Sì, la Terza missione dell’università — accanto a didattica e ricerca — è oggi indicata come ‘valorizzazione della conoscenza’. Questa espressione riflette meglio il suo scopo trasformativo: mettere il sapere universitario al servizio della società in forme utili, concrete e innovative. Il termine Terza missione ha una connotazione funzionale, quasi amministrativa. ‘Valorizzazione della conoscenza’, invece, sottolinea l’intenzionalità culturale, civica e sociale di questa funzione: conoscenza come bene comune; sapere come leva per l’impatto sociale, economico, culturale; apertura dell’università alla società, e viceversa.
Ci sono forse università più sensibili di altre al ruolo?
È vero, non tutte le università sono allo stesso punto nel riconoscere e sviluppare pienamente il proprio ruolo nella valorizzazione della conoscenza e nell’impegno per la sostenibilità, la cittadinanza attiva, l’innovazione sociale. Alcune sono più avanti, altre stanno ancora cercando il proprio passo. Ed è proprio in questo contesto che nasce la Rete delle università per lo sviluppo sostenibile: una rete nata per valorizzare, coordinare e accelerare il cambiamento culturale e operativo dentro gli atenei italiani in merito allo sviluppo sostenibile. La Rus è stata istituzionalizzata dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) nel 2016, dopo un periodo di co-progettazione iniziato nel 2013 con la partecipazione di sei atenei fondatori, tra cui il Politecnico di Torino. Alla Rus partecipano di diritto tutte le università associate alla Crui, oltre a numerosi atenei che condividono gli stessi obiettivi: integrare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica in tutte le dimensioni dell’università; governance, didattica, ricerca, impatto sul territorio; promuovere la collaborazione tra atenei, lo scambio di buone pratiche, la realizzazione di progetti comuni; favorire un dialogo attivo tra università e società, in linea con la Terza missione e l’Agenda 2030. Gli atenei aderenti sono 88.
L’articolo “L’università non è una fabbrica di laureati da inserire nel lavoro”: parla Patrizia Lombardi, fondatrice della Rus è tratto da Forbes Italia.