Lo standard (un po’ “maranza”) di Balenciaga, la sartorialità di Vivienne Westwood e l’ultima poesia di Jonathan Anderson per Loewe: cosa abbiamo visto e cosa ci è piaciuto di più alle sfilate di Parigi
- Postato il 11 marzo 2025
- Moda E Stile
- Di Il Fatto Quotidiano
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Alla Parigi Fashion Week continua la riflessione degli stilisti sul senso del vestire contemporaneo. Complice la crisi nera delle vendite, il significato dell’abbigliamento è al centro dei pensieri sia dei manager, che devono far quadrare i conti dei marchi, che degli stilisti, i quali, trovandosi a lavorare schiacciati tra la pressione dei risultati e quella del delicato contesto geopolitico, non possono che interrogarsi su perché, come e cosa indossiamo oggi. Ve ne avevamo parlato già qualche giorno fa in questo articolo e ora, sfilata dopo sfilata, il tema non fa che consolidarsi, confermando l’urgenza della moda di trovare la chiave di volta per uscire dallo stallo in cui è sprofondata.
E la sfilata di Balenciaga, in fondo, è proprio questo: uno specchio, a volte deformante, della realtà che ci circonda, un invito a riflettere su chi siamo, su come ci vestiamo e su cosa vogliamo comunicare attraverso i nostri abiti. Demna, il direttore creativo della maison, come sempre si muove sul filo sottile tra ironia e critica sociale, tra presa in giro e presa di coscienza: in un set completamente nero, con sedute anonime e un corridoio stretto e illuminato, va in scena una “lotta di classe” con abiti “standard”. C’è la divisa dell'”impiegatino” e la tuta del “maranza” (già virale sui social), signore con finte pellicce opulente, segretarie con camicie dal colletto alzato e occhiali a mascherina, allenatori di mezza età in piumino 100 grammi, appassionati di motorsport con casco e polo della domenica. E poi, immancabili, le comparse queer e i camei di “mattine in hangover”. Personaggi stereotipati, che sembrano usciti da un centro commerciale di provincia o che potresti incontrare la domenica pomeriggio nel centro di una grande città, con abiti dozzinali altrettanto stereotipati, anche se qui poi avranno cartellini a tre zeri.
“Vorremmo essere tutti il ‘main character‘”, scrive Demna, quasi a voler sottolineare l’ironia di una sfilata che mette in scena la “normalità”, in tutte le sue sfaccettature. La sua è una riflessione sul concetto di “standard” e sull’ossessione per la replicabilità infinita del guardaroba, ma anche un gioco di contrasti: tra la città e la provincia, tra l’opulenza e la semplicità, tra il desiderio di apparire e la realtà del quotidiano. “Ciò che ci circonda ci accomuna indipendentemente dalla gerarchia sociale”, scrive Demna, “e forse, in questi tempi attuali, l’unica cosa che possiamo fare è guardarci, e finalmente riconoscerci”.
Tutt’altre atmosfere da Loewe, che ha preferito una monumentale presentazione delle collezioni uomo e donna per l’Autunno/Inverno 2025-2026 alla classica sfilata. Così, il 51 di rue de l’Universitè, in quella che fu la casa di Karl Lagerfeld, si trasforma in una galleria d’arte, ospitando nelle varie stanze molte delle opere apparse nelle sfilate o nelle campagne delle precedenti collezioni di Jonathan Anderson, direttore creativo del brand spagnolo che voci sempre più insistenti danno con un piede già da Dior. La location si trasforma in un’esperienza artistica a tutto tondo, in collaborazione con la Albers Foundation, dedicata al duo artistico Josef e Anni Albers, pionieri del modernismo. Un modo per sottolineare il legame tra moda e arte, ma anche per mettere in scena una sorta di dolcissimo “album dei ricordi” dell’era Anderson, che non può non innestare il seme del dubbio sul suo imminente addio.
Dagli stucchi dorati di Saint Germain des Pres alla terra rossa dello stadio Roland-Garros, dove Lacoste, il marchio del coccodrillo, è tornato a sfilare. La direttrice creativa, Pelagia Kolotouros, presenta una collezione che trascende l’eredità tennistica del marchio per concentrarsi sulla vita del fondatore, René Lacoste, fuori dal campo: imprenditore, innovatore, uomo di mondo. Silhouette pulite, grafiche e contemporanee si alternano a ispirazioni sportive e a un vortice sociale che rimanda agli anni ’30. Cappotti in lana, trench tecnici, tute da ginnastica modernizzate si affiancano a maglie lucenti, abiti foulard e ricami preziosi. Il focus è sulla sartorialità anche nella nuova collezione di Vivienne Westwood firmata da Andreas Kronthaler, una celebrazione dell’energia, del rinnovamento e dell’ambizione, ispirata alle “vibrazioni cosmiche del numero 19”, simbolo di nuovi inizi. Una collezione che incarna la visione brit di Vivienne Westwood ma che è anche un ritorno alle radici dell’abbigliamento formale inglese, quello alla Savile Row per intenderci.
Il rigore sartoriale si fonde con la morbidezza avvolgente da Sacai, dove il lavoro sui volumi, sui layering e sulle decostruzioni è ormai un marchio di fabbrica. Chitose Abe applica questi codici alla collezione Autunno/Inverno 2025-2026 concentrandosi sul capospalla e sulla maglieria, nel segno dell’arte del wrapping. Doudoune, montoni e mantelle sono trasformati grazie a tagli, sovrapposizioni e patch di materiali differenti, per costruire volumi scenografici e avvolgenti che generano ” un senso di protezione dalla vita e dagli elementi del mondo esterno, che si possono affrontare grazie al gesto del movimento di abbracciare se stessi attraverso un bozzolo di tessuto”. Metri di chiffon, seta, volant e pizzi invece da Zimmermann, il brand australiano che ha debuttato sulle passerelle parigine nel 2022 ed è amatissimo dalle star. Non a caso in prima fila c’era Katie Holmes, che al termine della sfilata è corsa nel backstage ad abbracciare la stilista Nicky. “Stiamo andando”, ci conferma Roberta Benaglia, CEO di Style Capital, il fondo proprietario del marchio. “Siamo arrivati a 400 milioni di euro di fatturato e chiuderemo l’anno con un giro d’affari in crescita dal 15%”. Sete fruscianti e look da sirena anche da Elie Saab, lo stilista libanese amato per i suoi abiti eterei e sognanti: al Palais de Tokyo li ha portati in passerella indossati con vistose pellicce e grandi maglie in cui avvolgersi per proteggersi dal gelo invernale.
Sboccia invece una rosa in pieno inverno da Roger Vivier. Nell’incantevole cornice di un allestimento che evoca la magia degli anni ’50, tra ballerine dell’Opéra e artigiani al lavoro, Gherardo Felloni, direttore creativo della maison, ha presentato la collezione Autunno/Inverno 2025-2026, un omaggio al fiore per eccellenza: la rosa, appunto. “Il fondatore fu il primo a trasporre questo fiore su una scarpa”, spiega Felloni. “In archivio ci sono delle favolose rose da lui create, basta pensare alla collaborazione con la modista Suzanne Rémy. Lavorare su questo immaginario è stato per me estremamente stimolante”. La rosa diventa così protagonista assoluta, sbocciando su ballerine e décolleté, ma soprattutto sulla mule Rose Vivier, reinterpretazione di una creazione del 1965, in raso con una scultorea rosa in metallo, frutto di tecniche di gioielleria. Il talon Épine, stiletto decorato con una spina, impreziosisce molti modelli, mentre la borsa Rose Vivier, con i suoi petali in metallo e la forma geometrica che contrappone un corpo rettangolare a un manico circolare (rientrabile) decorato di spine, è un esempio di artigianalità e design.
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