“ll vintage è il futuro, ci insegna che la moda non deve essere sprecata. Da Kim Kardashian a Paris Hilton, anche le star vendono il loro guardaroba online. Ma occhio ai falsi”
- Postato il 20 settembre 2025
- Moda E Stile
- Di Il Fatto Quotidiano
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Kim Kardashian fu la prima ad ammetterlo pubblicamente: è “ossessionata” da Vestiaire Collective. Paris Hilton ha messo all’asta il suo guardaroba, Jessica Chastain ha fatto lo stesso. E non sono le uniche. Sempre più celebrity scelgono di rivendere i propri capi iconici, trasformando il vintage in un fenomeno globale che contagia i social e conquista un pubblico trasversale. Se fino a pochi anni fa la moda preloved era vista come nicchia, oggi è diventata status symbol: la Generazione Z la abbraccia come bandiera di sostenibilità e identità, mentre i collezionisti cercano pezzi d’archivio introvabili. “Il vintage non è solo un ritorno al passato – ci spiega Sophie Hersan, cofondatrice e fashion director di Vestiaire Collective – è la forma più alta di individualità. Un pezzo vintage non segue le tendenze, le supera. Racconta chi sei, e non passa mai di moda”. In un settore in crisi di creatività, dove la nostalgia del passato sembra prevalere sulla ricerca di nuove idee, il vintage diventa anche rifugio e promessa. Ma anche un grande affare: una Chanel Timeless che oggi costa oltre 10.000 euro in boutique si può trovare qui a 2.500 euro; una Fendi Baguette sotto gli 800 euro, meno di un terzo del prezzo in negozio.
Hersan torna con la memoria al 2009, quando tutto è iniziato: “Guardavamo i nostri armadi e vedevamo moda sprecata, capi quasi nuovi dimenticati su una gruccia. Ci siamo detti: perché non democratizzare il lusso e dargli una seconda vita?”. È nata così Vestiaire Collective, oggi presente in oltre 70 Paesi: “L’industria si trovava ad affrontare sovraconsumo e sovrapproduzione”, spiega Sophie. “Molti articoli venivano acquistati, indossati a malapena e dimenticati. Non vedevamo solo moda sprecata, ma anche scorte dormienti nascoste nei guardaroba delle persone”. La missione, fin dal primo giorno, fu chiara: “Cambiare il modo in cui le persone consumano la moda, costruendo un modello circolare, sostenibile e basato sulla community. All’inizio – ricorda – molti brand del lusso non credevano nella rivendita. Ma noi eravamo convinti: la community voleva quel modello circolare. E avevamo ragione”.
Il successo si misura anche nei numeri: “Abbiamo oltre 5 milioni di articoli attivi e 30.000 nuovi annunci al giorno”, racconta Hersan. E per gli appassionati, navigare il portale scatena la “caccia all’affare”: una Chanel Timeless, che oggi in boutique supera i 10.300 euro, in versione vintage può costare 2.500 euro, con un risparmio del 76%. Una Dior Saddle da 3.900 euro si può trovare a poco più di 1.000 euro. Una Fendi Baguette da 3.000 euro a meno di 800 euro. E persino una Birkin 35 di Hermès, oggetto di culto prima che del desiderio di tanti modaioli, che al dettaglio supera i 10.600 euro, si può scovare a meno di 5.900 euro.
Dietro queste cifre c’è un lavoro enorme di autenticazione e verifica per evitare che la piattaforma si riempa di “dupe”, di falsi: “La contraffazione è ovunque – spiega Sophie – ed è per questo che abbiamo costruito un processo di autenticazione unico”. Gli articoli passano infatti attraverso controlli multipli: monitoraggio digitale con AI, ispezione fisica, verifica del profilo venditore: “I nostri esperti provengono da case d’asta, maison di lusso, orologeria e gioielleria. Hanno 750 ore di formazione iniziale e 180 ore l’anno di aggiornamento continuo. È un lavoro di altissima precisione”. Per questo, Vestiaire Collective ha costruito un rigoroso processo di autenticazione a quattro livelli, chiamato “Protezione a 360°”. Ogni articolo di valore viene ispezionato fisicamente da un team di esperti formatosi nella “Vestiaire Collective Anti-Counterfeiting Academy”, un programma interno che prevede 750 ore di formazione iniziale e 180 ore di aggiornamento continuo ogni anno. Un impegno siglato anche dalla firma della Carta francese anti-contraffazione e dal Memorandum d’intesa europeo. Il consiglio di Hersan ai consumatori è perentorio: “Attenzione al prezzo: se un’offerta sembra troppo bella per essere vera, con ogni probabilità si tratta di un falso. Un articolo di lusso autentico mantiene il suo valore”.
Ma chi compra e vende su Vestiaire? “Non esiste un cliente-tipo – ci dice Sophie – ma una mentalità comune. Possono essere Gen Z alla ricerca di pezzi iconici, collezionisti d’archivio, aspirazionali che vogliono un guardaroba di qualità”. E cita un dato: “Il 60% degli acquirenti diventa venditore entro un anno. È la prova che la moda circolare funziona”. Tra le storie più curiose, quelle dei guardaroba delle celebrity: “Abbiamo gestito vendite di star come Rosie Huntington-Whiteley, Jessica Chastain, Paris Hilton. Quando il pubblico può acquistare un capo appartenuto a una celebrità, il legame emotivo diventa fortissimo”. Per i clienti con guardaroba importanti ma poco tempo, è stato creato un servizio di conto vendita a domicilio: gli esperti selezionano i capi a casa del cliente, un corriere li ritira gratuitamente e la piattaforma si occupa di tutto, dalla fotografia alla vendita.
Sophie non ha dubbi: “Il vintage è il futuro, perché ci insegna che la moda non deve essere sprecata. Possedere un pezzo unico è un atto di libertà, non di conformismo”. Poi sorride: “Non avrei mai immaginato che un tweet di Kim Kardashian ci avrebbe fatto capire la portata del fenomeno. Ma era solo l’inizio”. Oggi Vestiaire Collective è la prima piattaforma di moda second-hand certificata B Corp, ha siglato partnership con brand come Burberry e Chloé e prepara nuove sfide. “Abbiamo sempre innovato partendo dallo stile, non dalla tecnologia. Ma ora l’intelligenza artificiale sarà centrale: ci aiuterà a migliorare l’esperienza dei clienti, mantenendo però al centro l’essenza di Vestiaire: la community”. E conclude con un pensiero che suona come un manifesto: “Lo stile autentico non si spreca. Si tramanda, si reinventa, si condivide. È questo il senso del vintage”.
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