L’incredibile storia del ceramista Eugenio Taccini che con i suoi arlecchini conquistò Dior
- Postato il 5 dicembre 2025
- Arti Visive
- Di Artribune
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L’edizione 2025 del Festival Cèramica di Montelupo Fiorentino (6-21 dicembre 2025) conterrà un omaggio ad uno dei suoi artisti più conosciuti e amati: Eugenio Taccini (Montelupo Fiorentino, 1943 –2025). Un evento pubblico e una mostra, a cura della Fondazione Ceramica Montelupo, saranno l’occasione per entrare nel mondo di un artista che, trasformando l’argilla in narrazione, è stato un costruttore di possibilità per la ceramica; un ambasciatore della sua città e della Toscana intera, autore inconfondibile, uomo e pensatore raffinato, un po’ burbero e scontroso, ma sempre generoso e capace di profonda onestà intellettuale. Non sarà questo il punto definitivo sulla ricerca che interessa il suo lavoro, bensì l’inizio, l’avvio della costruzione di un racconto e di una mappatura attorno ad un uomo e a un’icona, sempre in equilibrio tra artigianato, arte e pensiero poetico.

Chi era Eugenio Taccini
Ho avuto l’immensa fortuna, nel mio percorso professionale ed umano, di incontrare Eugenio Taccini vent’anni fa, appena ho avviato la mia collaborazione con il Museo di Montelupo. La sua bottega si trovava proprio accanto al mio ufficio di allora. Era già all’apice della sua ricerca, nel pieno del suo successo, al centro dei viaggi e delle iniziative pubbliche della Toscana in Italia e all’estero, impegnato in ruoli importanti di strategia e rappresentanza per l’artigianato artistico. Eugenio Taccini era una figura autorevole, di un carattere non sempre facilissimo da trattare, inconfondibile dal punto di vista artistico e con un’energia inesauribile, che sfrecciava sulla sua bicicletta, fino a Firenze, in tutte le stagioni, sempre poco coperto anche in inverno, e sempre bellissimo, senza tempo. Era anche un uomo del paese, legato ad amicizie e tradizioni, dai modi sbrigativi e diretti, e con gli occhi brillanti che si accendevano, anche di commozione, quando parlava dei suoi incontri con l’arte, dei riferimenti intellettuali che avevano acceso la sua ricerca, della poesia che si traduce in ceramica, di maschere, Arlecchini, Pinocchio e di libertà.
Eugenio Taccini e la ceramica
Eugenio Taccini appartiene a Montelupo Fiorentino, il luogo che lo ha visto nascere, crescere e lavorare per tutta la vita, come uomo e artista, come le radici appartengono alla terra. Entra in contatto con la ceramica da bambino, dipingendo i bordi ai piattini e scrivendo Made in Italy sul retro degli oggetti. Respirando l’aria operosa delle botteghe scopre ogni segreto della lavorazione, assorbe tecniche, meticolosità e pazienza di un lavoro spesso ripetitivo, e l’alchimia dei colori, trasformati dal forno, che non smetteranno mai di sorprenderlo. Questa formazione sarà il fondamento del suo universo creativo, libero e poetico, non privo di riferimenti alla storia e sempre legato all’artigianalità più autentica, ma in costante ricerca e affermazione di un proprio linguaggio. Cresce artisticamente in dialogo con la tradizione della sua terra, con edizioni intense e personali, tra le quali le bellissime Zaffere, e respirando a pieni polmoni le idee, le parole e i gesti degli artisti che ha incontrato sul suo percorso: Venturino Venturi, del quale è stato allievo, Aldo Londi, Ettore Sottsass, Marz Mannucci, Beppe Serafini, Bruno Bagnoli, Benvenuto Staderini. Determinante, tra i suoi riferimenti intellettuali, l’incontro con il cantautore poeta e scrittore anarchico francese Leo Ferré, che Eugenio Taccini ha sempre ricordato come il più grande estimatore delle sue riletture dell’arlecchino, il decoro a cui lega una parte fondamentale del suo percorso, con il raggiungimento della maturità artistica negli anni ’70.
L’Arlecchino e le maschere nella ceramica di Taccini
L’Arlecchino è la maschera che appartiene al repertorio figurativo della ceramica di Montelupo Fiorentino del XVI secolo, che Taccini incontra entrando in contatto con i frammenti antichi che emergono dai lavori della casa del nonno e, in grande quantità, dagli scavi archeologici sul territorio di Montelupo (scavo del Pozzo dei Lavatoi, 1973). Così, mentre riemerge dalla terra la storia della ceramica che darà vita al Museo (1983), Taccini si innamora dei personaggi raffigurati sulle ceramiche antiche e diventa un autore contemporaneo dell’arlecchino di Montelupo, il suo alter ego più enigmatico. Dietro la maschera, la grazia malinconica di chi vive leggerezza senza superficialità. Figure mai uguali a sé stesse, interpretate da ogni singolo autore, simboli di libertà e, talvolta, ironia. L’incontro con il brand francese Christian Dior legherà i suoi arlecchini ad una collaborazione ventennale per la produzione di ceramiche della casa di moda.
La collaborazione con Christian Dior
Dagli Arlecchini nascerà, poi, un nuovo ciclo creativo, dedicato a Pinocchio: burattino, bambino, simbolo universale di trasformazione e stupore. Pinocchio, soprattutto, è stato un suo universo parallelo: non il burattino furbo e indisciplinato delle versioni più divulgative, ma una piccola anima esitante, fragile, luminosa e libera. In lui Taccini trovava la metafora perfetta della nostra imperfezione: la fatica di diventare veri, la libertà di rimanere veri anche quando diventiamo adulti. Con i suoi Pinocchi e Arlecchini, Taccini riscriveva la fiaba e la maschera con una poetica di figure leggere: non come cliché, ma come archetipi umani, vulnerabili, ironici, autentici. “Quel mio dedicarmi agli arlecchini da una vita ha finito per tener viva, praticamente ogni giorno, la mia passione per Pinocchio. Quelle loro caratteristiche di folgorante evidenza e di formidabile forza comunicativa, che stupiscono per primo chi li esegue, mi facevano sentire, ad un tempo, ad un passo dal burattino di legno e di fronte ad un salto forse impossibile. Ho fatto anche tante maschere, su sfondi toscani del mio vissuto e in linea con una tradizione artistica che tanto ha dato ad una serena comprensione delle difficoltà del vivere. Qualche anno fa ho capito. Quel mio girare intorno a Pinocchio doveva finire. Dovevo uscire dal circolo, e, anche grazie a preziosi amici vecchi e nuovi, sono riuscito a farlo”.
(Le avventure di Pinocchio, illustrate con 31 pannelli ceramici di Eugenio Taccini (ed. bilingue integrale italiano/inglese, trad. in inglese di M.L. Rosenthal; Fondazione Carlo Collodi, coeditore: Carlo Cambi Editore, 2000).
Le opere di arte pubblica in Toscana
Eugenio Taccini ha realizzato numerose opere pubbliche sul territorio toscano, tra le quali si ricordano l’opera “Biciclette” realizzata nel 2014 e collocata nella rotonda di accesso a Montelupo Fiorentino, la statua di Pinocchio all’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze, l’Albero di Pinocchio a Collodi, le installazioni e i pannelli per le istituzioni, ospedali e luoghi pubblici, tra i quali i centri Coop di Empoli e Montelupo Fiorentino. Nel 2001 Taccini firma l’edizione artistica del Barattolino Sammontana e, nello stesso anno, le sue illustrazioni entrano nella collana dei grandi interpreti di Pinocchio della Fondazione Nazionale Carlo Collodi. Insignito anche dell’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica, ha ricoperto cariche politiche ed istituzionali tra le quali la Presidenza della Fondazione per l’Artigianato Artistico di Firenze e della Confederazione Nazionale Artigianato Artistico dell’Empolese Valdelsa, e ha partecipato a innumerevoli eventi negli Stati Uniti, in Canada, sul territorio nazionale ed europeo. Prima di lasciarci, Eugenio Taccini ha destinato molte opere prodotte negli ultimi anni alle collezioni del Museo della Ceramica di Montelupo. Insieme ad altri lavori in prestito, questa selezione è oggetto della mostra curata da Vittoria Nassi, conservatore del Museo Montelupo, presso il Museo della Ceramica (6-21/12/2025).
La collaborazione con Marco Bagnoli
La bottega di Via XX Settembre a Montelupo, oggi chiusa, era una porta per entrare nel suo mondo. Se non era lì, intento a decorare sulla porta, Eugenio lasciava un messaggio scritto su una tavola di legno: “Per trovarmi”, con il suo numero di cellulare a seguire. Il bellissimo video artistico dell’opera 72 Nomi, Italian Garden, (Fondazione Museo Montelupo con la regia di Giulia Lenzi in collaborazione di OKNO Studio, 2022) dell’artista Marco Bagnoli, con il quale Taccini ha avuto anni di importante amicizia e collaborazione, fotografa per sempre, in apertura del documentario, quello spazio indimenticabile e la vita che lì si generava.
Benedetta Falteri
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