Le grane di Milei dopo la sconfitta elettorale a Buenos Aires: tra gli investitori aumentano i dubbi sulla governabilità del Paese

  • Postato il 12 settembre 2025
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Doveva essere una vittoria da portare a casa a mani basse, è stata la prima sconfitta elettorale del presidente Milei. Le elezioni legislative nella provincia di Buenos Aires, in cui il partito La Libertad Avanza è stato superato di quasi 14 punti percentuali dalla coalizione peronista Fuerza Patria, hanno aggravato la crisi che sta colpendo l’esecutivo. Il leader libertario ha ammesso la necessità di un’autocritica ma, allo stesso tempo, ha ribadito che non modificherà le misure economiche adottate finora. Nella settimana successiva alla disfatta, Milei ha istituito diversi tavoli politici con i collaboratori più fidati per ricomporre le tensioni interne al governo e rilanciare l’iniziativa in vista di ottobre, quando sarà parzialmente rinnovato il Congresso. La paura è che si possa ripetere una debacle, complicando ulteriormente la vita dell’esecutivo. Ad oggi Milei non ha la maggioranza in Senato e nella Camera dei deputati. Se questo dovesse essere confermato alle urne, mancherebbero i numeri per portare avanti le riforme che, secondo l’agenda del presidente, sono necessarie per raggiungere gli obiettivi del surplus fiscale e del deficit zero.

I mercati hanno risposto. A seguito della sconfitta è aumentato il “rischio Paese“, cioè l’indicatore che misura quanto gli investitori ritengano sicura o meno la capacità di uno Stato di ripagare i propri debiti, in confronto ai quella degli Stati Uniti che – al netto delle evoluzioni recenti – sono considerati il riferimento più affidabile. Il valore è salito da circa 906 punti, prima del voto, a quota 1.100. A registrare gli effetti delle urne è anche il valore del dollaro che è aumentato rispetto al peso, la moneta nazionale che si è invece indebolita. Gli investitori leggono infatti nella sconfitta un segnale di debolezza e un ostacolo alla realizzazione del piano ultra-liberista avanzato dall’esecutivo. Il timore principale è che la perdita di consenso, soprattutto nella provincia di Buenos Aires dove vive il 38% della popolazione dell’Argentina, comprometta la governabilità e la capacità di portare avanti le riforme strutturali promesse.

“La maggior parte degli attori del mercato finanziario preferisce Milei per la sua politica economica, che per loro è stata più vantaggiosa rispetto al kirchnerismo. C’è sfiducia verso il peronismo e ciò che potrebbe fare nel caso in cui tornasse al governo nazionale”, spiega al Fattoquotidiano.it Martin Kalos, direttore e analista di Epyca Consultores. “Pesa un ulteriore fattore. In nessun settore economico e soprattutto in quello finanziario, è positivo trovarsi di fronte a un cambiamento continuo delle regole del gioco. Genera incertezza non sapere se tornerà un governo che annullerà le riforme realizzate da Milei, proponendone di nuove. L’ipotesi che i piani possano cambiare è un problema per la prevedibilità di qualsiasi attività economica e ora l’Argentina sta attraversando una fase di forte incertezza”. Alcune misure di deregolamentazione e liberalizzazione sono state vantaggiose a livello macroeconomico ma hanno avuto un impatto negativo su ampie fasce della popolazione, colpite dallo smantellamento dello Stato sociale, ma anche sulle PMI e sulle imprese di dimensioni maggiori.

“Milei arriva alle elezioni con un’economia ferma. Le sue politiche economiche stavano già da tempo mostrando segnali della necessità di un cambiamento che non è arrivato”, prosegue Kalos. La questione centrale è relativa al mercato dei cambi. In quasi due anni di mandato, il governo ha adottato diverse strategie. Ha alleggerito progressivamente i controlli sui cambi (il cosiddetto “cepo”, l’insieme delle restrizioni che avevano limitato l’accesso al mercato dei dollari ufficiali) che lo scorso aprile sono stati eliminati. In modo artificiale ha mantenuto “basso” il valore del dollaro, non lasciando che cambiasse in base alla domanda e all’offerta. La Banca centrale argentina ha smesso di accumulare riserve perché non ha più comprato dollari per evitare di svalutare la moneta nazionale, ma ciò ha generato uno squilibrio: si è creato un cambio eccessivamente apprezzato, cioè il peso si è rafforzato molto rispetto al dollaro. “Negli ultimi mesi, per difendere questo livello di cambio, il governo è nuovamente intervenuto in modo diretto su diversi fronti: ha venduto dollari e contratti future, e ha imposto tassi di interesse reali altissimi che attualmente si attestano a circa il 40% sopra l’inflazione. Uno scenario che non si vedeva in Argentina da più di trent’anni”.

L’altro nodo che l’esecutivo deve sciogliere è come agire sulle riserve bancarie. “Per impedire un rialzo del dollaro, il governo ha ritirato pesos dalla circolazione e ha imposto un tasso di riserva bancaria obbligatoria del 53,5%: più della metà dei soldi depositati nei conti bancari deve essere tenuta ferma presso la BCRA, senza possibilità di essere usata per erogare prestiti”, spiega Kalos. I tassi di interesse per i prestiti al settore privato “sono arrivati al 70-80%. Una situazione che Milei avrebbe affrontato dopo le elezioni di ottobre, ma la sconfitta alle provinciali lo costringe a farlo in tempi rapidi. Un tema ulteriore è se cambieranno i rapporti con il Fondo Monetario Internazionale“. Ad aprile 2025 il presidente ha stretto un accordo tecnico da 20 miliardi di dollari con il Fmi alla condizione di mantenere una politica fiscale solida e stabilità monetaria. Dopo gli ultimi risultati elettorali, la portavoce del Fmi Julie Kozack ha affermato che si continua a sostenere l’impegno del governo e il programma di austerità. Capire se l’accordo sarà modificato nei prossimi mesi, e a che condizioni, è “la domanda chiave per il futuro”.

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