L’attacco di Israele a Doha rivela la volontà di fermare i negoziati: una svolta significativa
- Postato il 16 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Il targeting dei leader di Hamas a Doha non è stato una sorpresa. Israele aveva ripetutamente e pubblicamente dichiarato, attraverso quasi tutti i suoi funzionari, che avrebbe inseguito i leader del movimento ovunque si trovassero. Ciò che ha sorpreso, tuttavia, è stato il tempismo dell’operazione: Israele ha scelto un momento cruciale, nel pieno delle trattative, precisamente mentre si attendeva la risposta della delegazione di Hamas all’iniziativa del presidente americano Donald Trump.
Questo ha fatto apparire l’attacco non soltanto come un’azione per eliminare i quadri del movimento all’estero, ma anche come una chiara decisione israeliana di chiudere il processo negoziale, lasciando l’invasione militare di Gaza come unica opzione sul tavolo, con il conseguente congelamento forzato dei colloqui.
La natura stessa di questo attacco in Qatar segna una svolta significativa, non solo nel modo in cui Israele affronta Hamas sul piano politico, ma anche nel rapporto con Doha e con il suo ruolo di mediazione. Certo, l’operazione ha scatenato un’ondata di condanne, ma in realtà non esistono garanzie che simili azioni non possano ripetersi. Anzi, il rappresentante israeliano al Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha dichiarato pubblicamente questa possibilità, segnalando così conseguenze più ampie e la probabilità di un allargamento della cerchia degli obiettivi israeliani.
L’aspetto più pericoloso di questo sviluppo è l’espansione geografica del conflitto verso aree finora considerate intoccabili e classificate come zone di stabilità, come il Golfo. Considerare Doha parte del teatro di guerra è qualcosa di inaccettabile per i Paesi del Golfo, la cui stabilità costituisce il fondamento stesso del modello economico come centro globale per l’energia e il business. Oggi, però, il Golfo si trova di fronte a una nuova sfida, mentre l’instabilità che lo circonda — dallo Yemen, dall’Iran e dal Mar Rosso — si avvicina sempre più ai suoi confini. Da qui la rapidità e la compattezza della reazione araba e del Golfo, che riflette la consapevolezza della gravità dell’attacco israeliano e del rischio di non riuscire a impedirne la ripetizione, nonostante le condanne internazionali e persino le garanzie americane.
Pensare che l’operazione fosse limitata ai leader di Hamas senza toccare il Qatar è un’illusione: una lettura più attenta rivela che il messaggio israeliano era diretto anche al ruolo di Doha, non solo come sponsor dei negoziati, ma come sostenitore di una rete più ampia di gruppi e movimenti. Questo pone un problema senza precedenti per l’emirato e potrebbe aprire la strada a un ripensamento profondo della natura del suo ruolo.
Parallelamente, mentre Israele continua a gestire l’intero scenario regionale attraverso una logica esclusivamente securitaria, l’attacco rischia di riattivare le capacità residue di gruppi filo-Hamas in Siria e in Iraq, anche solo con operazioni simboliche o tentativi di colpire obiettivi logistici o diplomatici, come forma di solidarietà o sfruttando l’instabilità regionale. Resta comunque il fronte più preoccupante quello yemenita, dove i recenti attacchi mostrano una crescente capacità nell’uso di missili a lunga gittata e droni. Ciò aumenta la probabilità che obiettivi israeliani possano essere colpiti nel Mar Rosso, nell’Est Mediterraneo o lungo le rotte marittime, incluse quelle vicine alle coste siriane.
Sul piano politico, la posizione degli Stati Uniti rimane il fattore decisivo per contenere l’escalation e gestirne i rischi, soprattutto alla luce di una posizione sempre più compatta del Golfo e di un sostegno arabo proveniente dagli alleati di Washington. Da parte sua, il Qatar cercherà di preservare il proprio ruolo di mediatore, considerandolo uno strumento essenziale per garantire la copertura americana in questa fase, anche se tale copertura non ha impedito a Israele di compiere l’ultima operazione.
Doha, dunque, tenderà a ridefinire i termini della sua mediazione, cercando garanzie americane più solide e concrete. Washington, dal canto suo, proverà a riaprire i canali e a rilanciare un negoziato per una tregua limitata. Ma i parametri di un simile accordo sono diventati molto più complessi dopo l’attacco, e la fiducia reciproca si è fortemente erosa: ciò potrebbe rendere necessario un cambiamento radicale nell’approccio al dossier.
Questo scenario potrebbe favorire un ruolo più incisivo per l’Egitto e aprire la porta a un maggiore coinvolgimento di altri attori regionali, in primis l’Arabia Saudita, destinata a esercitare pressioni fondamentali su Washington e Abu Dhabi, utilizzando le sue carte più influenti nel rapporto con Israele.
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