L’arte di Filippo Manzini è ingegneria della gravità. La mostra a Milano

  • Postato il 19 settembre 2025
  • Arti Visive
  • Di Artribune
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Con la recente mostra personale, intitolata Lavoro sul campo, Filippo Manzini (Firenze, 1975. Vive e lavora Milano) porta la sua ricerca nello spazio della galleria Building Terzo Piano a Milano, trasformandolo in un luogo di tensioni e risonanze. La mostra, curata da Giorgio Verzotti, riunisce alcune recenti sculture, un’installazione site-specific, un video e alcune fotografie che compongono un percorso in cui ogni opera è un’entità in relazione con il mondo newtoniano della gravità. La mostra è stata inaugurata da una azione, in cui l’artista fiorentino spesso condivide in tempo reale la “messa in opera” delle sue sculture in equilibrio. Questo è un concetto caro al curatore e critico Giorgio Verzotti, che in questi ultimi anni ha dato vita a mostre e definito un gruppo di artisti proprio sul concetto e sulla pratica dell’equilibrio.  

Filippo Manzini, Lavoro sul campo, galleria Building di Milano, Installation view
Filippo Manzini, Lavoro sul campo, galleria Building di Milano, Installation view

La pratica artistica di Filippo Manzini 

Operando secondo le regole di quello che potremmo definire un “minimalismo lirico”, Manzini costruisce sculture site specific, o dispone sculture realizzate in studio, in cui ciascun elemento poggia o sostiene l’altro. Sono sculture “relazionali”, a modo loro. I materiali usati in questa mostra (dal legno all’ottone, dal granito al tessuto, dal ferro alla corda), confermano un gusto “poverista” e un desiderio di levità. Messi in dialogo nello spazio del cubo bianco, in cui gli aspetti culturali o storici del luogo sono azzerati, appaiono come altrettante creature sospese dentro un campo di forze determinate dalla gravità e dalla resistenza ad essa che ogni singola opera propone in modo quasi impercettibile. 

Le opere di Filippo Manzini a Milano 

Occorre tener presente, infatti, che nel lavoro più che ventennale di Manzini, mai nessun elemento è incollato o saldato ad un altro, ma sempre soltanto “appoggiato”. Nell’opera Sospensione (2025), che mostra due cubi di granito avvolti in una benda di tessuto, la posizione innaturale ed antigravitazionale degli elementi esprime mirabilmente il sentire dell’artista. Noi oltre lo spazio (2025) è invece una scultura a parete che usa la gravità come amalgama per tenere insieme elementi di legno, corda e marmo. La stessa cosa avviene per Di orizzonte ed estensione, che è stata riadattata site specific in ferro e corda durante un’azione inaugurale che ha messo in luce il rapporto tra il corpo dell’artista come homo faber, ma anche come ingegnere della gravità, in relazione ad una materia preparata e disposta per deviare dal proprio uso consueto e trovare il proprio senso dentro una grammatica dei pesi e contrappesi, di forze gigantesche contenute e come intrappolate dentro la quiete silente delle semplici forme manziniane. 

La mostra di Filippo Manzini da Building 

Quando dal white cube, Manzini si sposta nel corpo urbano della città, come ama fare da New York a Milano, il suo lavoro trova una nuova dimensione ed il suo corpo diventa spesso parte vitale del processo costruttivo o strumento vitruviano di misurazione. Accade così nel video pratica 2025-06-12 T08:27, girato nel Giardino 9 Novembre di Milano, e nelle serie fotografiche Atti di misura e Misurazioni, realizzate entrambe alla Fondazione Feltrinelli di Milano nel 2025: l’artista passa dalla dimensione performativa, in cui costruisce sculture effimere nell’ambiente architettonico, ad una dimensione più oggettiva in cui usa il proprio corpo, con le sue leve, come metro di misura ideale di un’architettura che lo sovrasta, ma che è idealmente creata per “servirlo”. In questa mostra, dove la tensione diventa principio vitale, i materiali e le loro geometrie in relazione reciproca creano tensioni percettive impalpabili. Ed in ciò consiste la loro forza estetica. 
 
Nicola Davide Angerame 
 
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Autore
Artribune

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