L'anno degli stuntman
- Postato il 8 luglio 2024
- Di Il Foglio
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L'anno degli stuntman
È decisamente l’anno degli stuntman. “The Fall Guy” di David Leitch (ex stuntman) con Ryan Gosling ha riproposto la questione. Perché non esiste un Oscar per questi professionisti senza nome che tanti contributi danno ai film d’azione? Oggi specialmente, quando gli spettatori si sono stufati degli effetti speciali prodotti al computer e vogliono la roba vera. Veri capitomboli, vere cadute nel vuoto, veri salti in motocicletta alla maniera di Tom Cruise (che poi fa circolare le immagini prima della correzione che cancella l’imbracatura di sostegno).
Il Guardian rende omaggio con un’intervista allo stuntman più piccolo del mondo: Kiran Shah sostiene di aver lavorato in più film di qualsiasi altro stuntman. Fece il primo provino nel 1976, aveva letto un annuncio. Era un film di fantascienza che cercava un attore di piccola statura. Si trovò davanti George Lucas, piuttosto nervoso, che lo fece entrare in un bidone per la spazzatura. Con il coperchio in testa. E gli chiese: “Riesci a guardare a destra, e a sinistra?”. Non ebbe la parte, che andò a Kenny Baker. Neppure si rese conto che stava facendo il provino per il robottino C1-P8, nel film “Guerre stellari” che sarebbe uscito l’anno dopo.
Non ebbe la parte, ma piacque al direttore del casting che gli procurò un agente. Così cominciò la carriera dello stuntman più basso del mondo (anche il Guardian tanto educato dice “short”, non si capisce perché noi dovremmo dire “diversamente alto”). In 50 anni, ha recitato tanti altri personaggi di “Star Wars” (perlopiù di altre galassie, con protesi e trucco). Ha fatto da controfigura a tutti gli hobbit in tutta la saga del “Signore degli Anelli”. Era Kiran Shah, che neanche sa nuotare, ogni bambino visto in “Titanic”.
In 50 anni di carriera (ora ne ha 67) con il suo metro e 26 centimetri – in aggiunta a un totale sprezzo del pericolo – ha lavorato per Steven Spielberg, Ridley Scott, J. J. Abrams, oltre ai registi che abbiamo citato prima. Fece la controfigura di Christopher Reeve in un “Superman” diretto da Richard Donner: avevano bisogno di una serie di supereroi di diverse misure per simulare il volo, dietro era proiettato il panorama della città. In quell’occasione sgridò Marlon Brando, che vedendolo arrivare sul set lo afferrò e si mise a giocare con lui.
“Sono stato molto fortunato”, dice a Steve Rose del Guardian che lo intervista, e racconta che si è presentato in redazione con il nipote Kit, il suo agente. La vocazione fu precoce, prima che la famiglia si trasferisse dall’India a Londra: imitava lo zio. A scuola fu bullizzato da tutti i compagni, bianchi neri o marroncini: aveva già smesso di crescere. Fu protetto dagli skinhead del quartiere, mossi a compassione. Nessuno più osò dire una parola.