L’accompagnatore e Bad lands, due romanzi americani alla riscoperta del mito della frontiera
- Postato il 17 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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“Tra le donne, la signora Belknap, la cara Theoline, era la più palesemente alienata. Il suo riposo notturno era irregolare, e da sveglia spesso balbettava piano in una lingua che capiva soltanto lei, gettava sguardi a caso. Mangiava come un uccellino. Non capiva nulla di ciò che le veniva detto. Mary Bee sviluppò gradualmente una teoria: Theoline doveva rimanere demente, perché se la sua mente si fosse schiarita, e fosse subentrato il senso di colpa, si sarebbe uccisa.”
L’accompagnatore, di Glendon Swarthout (traduzione di Gianluca Testani; Jimenez Edizioni), è un denso e bellissimo romanzo western atipico, brutale e allergico al buonismo, che racconta il mito, e la violenza, della frontiera dal punto di vista, quasi mai affrontato in questo filone letterario, delle donne. Siamo nel 1850 e Mary Bee Cuddy, ex insegnante, zitella, all’apparenza incrollabile, dopo il rifiuto degli uomini della comunità, si incarica di portare a termine una missione disperata: accompagnare quattro donne, traumatizzate e devastate mentalmente dalla dura vita del West, a Hebron, nell’Iowa, dove sono attese da un comitato di aiuto guidato da Altha Carter.
Per compiere questo viaggio, Mary Bee si affida a George Briggs, un vagabondo imbroglione, emarginato sociale, rozzo e violento, che lei stessa ha salvato da morte certa. I due, a bordo di un carro trainato da muli, accompagnano, verso est (a ritroso, quindi, rispetto all’implacabile marea pioneristica che si riversa a occidente), le quattro donne scioccate e sconvolte. Attraversano il Nebraska, tra la minaccia degli indiani, le tempeste di neve e la desolazione di una terra piatta e incontaminata. Un viaggio che è lotta contro la solitudine, una battaglia continua di resistenza e la ricerca di redenzione e di un nuovo inizio.
L’accompagnatore racconta una storia epica, a modo suo. Un’epica degli emarginati, dei folli, di quelli che non sono riusciti a emergere dal mito del West. Di coloro che del primitivo Sogno Americano che dà a tutti una seconda possibilità, non hanno intravvisto nemmeno la prima. Un romanzo affascinante, avvincente, tenero e sorprendentemente divertente, che nella sua coraggiosa verosimiglianza con la vita reale è capace di lasciare il lettore spiazzato e, soprattutto, che non cerca di lusingarlo con facili tolleranze emotive.
“Sistemò la canna del fucile nella piega di un ramo. Centrò il mirino sulla testa dell’uomo, l’abbassò sulla schiena, lo sollevò di nuovo. Non poteva sparare a un uomo alle spalle. L’indice sul grilletto, si inumidì le labbra per gridare. Non uscì alcun suono. Rimase teso in ginocchio per diversi minuti o almeno così gli sembrò, con il mirino che tremò a lungo prima di stabilizzarsi. Ma niente, non poteva sparare. Sollevò di un altro po’ la canna e tirò il grilletto.”
Bad lands, di Oakley Hall (traduzione di Tommaso Pincio; SUR), è la storia di Andrew Livingston, banchiere e uomo politico di New York, città che si lascia alle spalle dopo una terribile tragedia familiare (la morte della moglie e della figlia), per trasferirsi nelle aspre terre selvagge del Dakota e cominciare una nuova vita. Abile tiratore e uomo coraggioso, Livingston si guadagna il rispetto della gente di frontiera, ma la sua ricchezza e il suo accento dell’est lo marchiano, al contempo, come un outsider. Ammaliato dalla grandiosità della terra e attratto dalla possibilità di arricchirsi ulteriormente grazie all’allevamento dei bovini, Livingston rivendica il possesso di un terreno che anche un altro uomo desidera e si ritrova nel mezzo di un fuoco incrociato di odio e avidità in un luogo dove l’unica legge è quella della pistola.
Tra magnifiche cartoline di panorami selvaggi, linciaggi, incursioni notturne di vigilanti, omicidi, coloni scozzesi invisi ai vecchi pionieri, amanti della modernità e degli eccessi, allevatori tradizionalisti, ragazze ribelli e tenutarie di bordelli, la narrazione esplora l’anima del West mescolando abilmente fatti storici e di finzione. Secondo romanzo della trilogia western scritto da Oakley Hall, Bad lands è molto diverso dal magnifico Warlock (anch’esso tradotto in Italia da Tommaso Pincio e pubblicato da SUR), dove il tema centrale ruota intorno alle figure leggendarie dei pistoleri, salvatori di comunità ostaggio di manigoldi. Qui tutto si muove e si amplia grazie ai grandi territori dell’Ovest, raccontati in un periodo terminale dell’epica western: siamo negli anni Ottanta dell’Ottocento, vecchi e nuovi allevatori si scontrano per il potere sulle terre, l’allevamento aperto sta recitando il proprio requiem e il progresso capitalistico taglia con una mannaia ciò che ancora di libero e incontaminato sopravvive.
Un testo bellissimo, emozionante, con uno spirito revisionista che non lascia spazio alla bontà d’animo e alle facili soluzioni. Un vero e proprio trattato di realismo letterario.
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