La tardiva di Villa S. Giuseppe era l’arancia dello zar
- Postato il 5 luglio 2025
- Notizie
- Di Quotidiano del Sud
- 1 Visualizzazioni

Il Quotidiano del Sud
La tardiva di Villa S. Giuseppe era l’arancia dello zar
Il “purtuallu longu” o tardiva di Villa San Giuseppe o arancia dello zar viene coltivato fino a giugno e lega il suo nome a un piccolo centro nella parte settentrionale di Reggio Calabria
GUSTARE una arancia anche d’estate è possibile grazie alle coltivazioni tardive. In Calabria c’è l’arancia belladonna di Villa San Giuseppe (cultivar tardiva e a polpa bionda), che lega il suo nome a un piccolo centro nella parte settentrionale della città di Reggio Calabria: la frazione Villa San Giuseppe, sulla foce del torrente Gallico.
In particolare, il territorio di coltivazione si trova nel fondovalle delle fiumare del Gallico e del Catona e, dalla fascia pre-montana dell’Aspromonte, arriva fino allo stretto. Secondo alcuni studi, le prime notizie sulla presenza di questa cultivar risalgono al 1863, quando il professore Pasquale Giuseppe, in uno dei suoi trattati di economia agraria, descrive l’area agrumicola reggina, sottolineando l’eccellenza delle produzioni delle arance di Villa San Giuseppe. Gli agrumi di questo territorio erano celebri e rappresentavano una risorsa economica importante: fino agli anni ’70 del secolo scorso erano commercializzati non solo in Italia ma esportati in tutta Europa, e raggiungevano perfino la Russia (per questo sono anche dette le arance degli zar).
LA TARDIVA DI VILLA SAN GIUSEPPE, DETTA ANCHE L’ARANCIA DELLO ZAR MATURA FINO A GIUGNO
Il periodo di maturazione ricade tra i mesi di aprile e maggio ma può spingersi fino a giugno. I frutti sono di pezzatura media (circa 200 grammi) e hanno forma ovoidale e buccia sottile. La polpa è bionda, molto ricca di succo, con pochissimi semi. Le arance belladonna sono ottime mangiate fresche, ma possono anche essere trasformate in marmellate e scorzette candite.
Gli anziani del luogo raccontano che la coltivazione del purtuallu longu (nome della belladonna nel dialetto locale) sosteneva l’economia di queste zone perché il suo prezzo sul mercato, rispetto ad altri prodotti agricoli, era molto più remunerativo. In passato gli agrumeti erano quasi sempre gestiti da coloni che distribuivano il lavoro in questo modo: c’era il guardiano che stimava la produzione e controllava gli operai, poi i raccoglitori, i panarari che portavano i secchi pieni di frutta dai campi, e i taddieri che, con il coltello, rifinivano il frutto lasciando il peduncolo con una o due foglie. L’alto grado di serbevolezza consentiva di conservare i frutti per tutta la stagione estiva al buio nelle cassette di legno, nella sabbia di mare o nella segatura di faggio o di pioppo.
UN PRODOTTO CHE SE BEN CONSERVATO È DISPONIBILE FINO ALL’ESTATE
Come dicevamo le arance si raccolgono tra aprile e giugno, se ben conservate sono reperibili anche nei mesi estivi. L’arancia belladonna cresce centoventi chilometri più a sud, nella frazione di Villa San Giuseppe del Comune di Reggio Calabria. Ci troviamo a nord del centro della città, nell’area del fondovalle compresa tra le fiumare del Gallico e del Catona, due corsi d’acqua che dall’Aspromonte scendono fino allo Stretto di Messina. Se resta misteriosa l’origine del nome, note – e degne di nota – sono le caratteristiche di questo frutto: si tratta di una varietà di arance tardive, che giungono a maturazione tra aprile e maggio.
Hanno pezzatura media, che si aggira intorno ai 200 grammi, forma ovoidale e buccia sottile: il frutto, ottimo da mangiare fresco, può anche essere trasformato in marmellate e scorzette candite. La polpa dell’arancia belladonna è bionda, molto ricca di succo e con pochissimi semi. Proprietà organolettiche che, fin dall’Ottocento e per tutta la prima metà del secolo scorso, ne hanno assicurato il successo.
UNA GESTIONE CHE I GROSSI PROPRIETARI TERRIERI AFFIDAVANO AI COLONI
La gestione degli aranceti avveniva in colonìa, cioè con la concessione dei terreni da parte dei grossi proprietari terrieri ai coloni, che lavoravano negli appezzamenti. Il superamento di questo modello, la conseguente frammentazione della proprietà, la sostituzione della belladonna con varietà commercialmente più popolari e precoci come l’arancia tarocco, e anche il progressivo abbandono dell’agricoltura in favore di altri mestieri hanno contribuito alla perdita della belladonna. Quelli che da queste parti ancora adesso vengono chiamati giardini, cioè gli aranceti, oggi non superano l’ettaro come superficie, e rappresentano produzioni marginali per le aziende agricole che difficilmente potrebbero basare la propria sussistenza economica su questa varietà:
Il Presidio Slow Food (ostenuto dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria), in questo come in tutti gli oltre 365 altri casi in giro per l’Italia, nasce per sostenere una produzione, difenderla dall’estinzione, promuoverne la conoscenza e lo sviluppo commerciale: un riconoscimento non fine a sé stesso, ma un vero strumento in grado di attivare microeconomie locali, far nascere e crescere filiere locali, difendere il suolo dall’abbandono e dal rischio idrogeologico che ne deriva e assicurare sovranità alimentare alle comunità che lo abitano.
(in collaborazione con Slow food Calabria)
Il Quotidiano del Sud.
La tardiva di Villa S. Giuseppe era l’arancia dello zar