La storia del pittore Edoardo Pansini che guidò la Liberazione a Napoli 

  • Postato il 14 settembre 2025
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Edoardo Pansini (Piazza Armerina, 1886 – Napoli, 1963) si avvicinò al mondo dell’arte dopo il trasferimento a Napoli, dove nel 1898 s’iscrisse alla Scuola tecnica “Ruggero Bonghi” passando poi al Reale Istituto di Belle Arti; ma al di fuori dell’aula, frequentò gli studi dei pittori Giuseppe Boschetto e Stanislao Lista, quest’ultimo anche scultore. Dalle prove giovanili legate al nudo, frequentando musei e gallerie conobbe i grandi maestri dell’arte, avviando ricerche sulla luce, il colore, il paesaggio e la figura. Il “debutto” artistico arrivò nel 1909, in occasione della collettiva del gruppo della Secessione dei 23 presso la Prima Esposizione Giovanile di Napoli; due anni più tardi soggiornò brevemente a Roma, riuscendo a esporre alla mostra d’arte degli Indipendenti a Palazzo Theodoli, sulla centralissima Via del Corso.  

La pittura di Pansini 

Ma l’esperienza romana fu decisiva per Pansini, che visitò la retrospettiva dei Preraffaelliti inglesi e quelle di altri artisti mitteleuropei secessionisti, quali Gustav Klimt, Koloman Moser, Egon Schiele, Ferdinand Hodler, Max Klinger; la loro lezione fu fondamentale per lo sviluppo della maturità pittorica di Pansini, caratterizzata da complesse tematiche simboliste a carattere decadente, dove la figura femminile di cui l’artista sottolinea tutta la sensualità e la carica erotica, acquista un accentuato espressionismo, rinunciando però ai toni scuri dei secessionisti viennesi, in favore di quella luminosità partenopea che era rimasta parte di lui. Dalla fine degli anni Venti, superata la fase simbolista, Pansini si volse al paesaggio, una scelta motivata dalla volontà d’infondere un carattere più introspettivo alle sue opere, in parallelo con la ricerca della solitudine, quasi a rispondere all’epicureo motto Λάθε βιώσας (vivi nascosto). Certamente, l’amarezza dell’oppressione fascista (la cui censura aveva chiuso la rivista Il Cimento) spinse Pansini a cercare rifugio nella pittura introspettiva, come stava facendo anche Picasso con le sue donne sulla spiaggia. I paesaggi di Pansini, silenziosi e deserti, rimandano a quelli narrati da Cesare Pavese, estremi tentativi di trasferire su una dimensione più accettabile la durezza e la violenza dei tempi. 

L’arte di Pansini e il Fascismo 

Pansini non si limitò a seguire l’onda dell’arte, cercò anzi di creare qualcosa per indirizzarla; per questo fu tra i principali fautori della Rassegna biennale napoletana, che si tenne nel 1921 a Palazzo Reale, inaugurata da Benedetto Croce; la Rassegna nacque con l’intento di “mettere in prima evidenza l’attività artistica contemporanea di ogni parte d’Italia, senza preferenze di scuola o maniera”, ma purtroppo, la prima edizione rimase l’unica. 
Ma l’impresa culturale più importante di Pansini fu la fondazione nel novembre del 1921, della rivista illustrata di Belle Arti Il Cimento, dalle cui colonne condusse con chiarezza ed entusiasmo la sua battaglia per un’attività artistica realmente liberale e libera; Meno nota di Omnibus o Il Selvaggio, la rivista seguì con passione i fermenti culturali dell’epoca, ma la sua indipendenza la fece incappare nella censura fascista e fu soppressa nell’aprile del 1936. Riprende le pubblicazioni soltanto nell’aprile del 1944 nell’Italia libera, divenendo l’organo ufficiale del partigiano Fronte Unico Rivoluzionario, ma il 18 novembre 1944 la Commissione Centrale Alleata della Stampa ne sospese ancora una volta le pubblicazioni, questa volta in maniera definitiva. 

Le Quattro Giornate di Napoli 

In seguito all’ambiguo armistizio diffuso l’8 settembre 1943, l’Italia rompeva l’alleanza con la Germania sena chiarire troppo il proseguimento della condotta bellica; in pochi giorni il Paese precipitò nel caos, mentre le divisioni tedesche preparavano la rappresaglia occupandone il territorio e infierendo anche sulla popolazione civile.  

L’occupazione nazista a Napoli 

Anche Napoli, purtroppo, visse l’occupazione nazista, ma già alla fine del mese di settembre si sollevò e fu l’unica città italiana che riuscì a liberarsi senza l’aiuto delle truppe alleate; presso il Liceo Sannazaro nacque infatti il Fronte Unico Rivoluzionario, del quale Pansini fu comandante, e al quale aderirono studenti, ex militari, operai, medici, commercianti, ma anche tanti “scugnizzi”, cioè quei diseredati di cui la Napoli dell’epoca purtroppo abbondava. Fra il 27 e il 30 settembre, unito, il popolo napoletano affrontò i tedeschi strada per strada. Alla fine, secondo i registri del Cimitero di Poggioreale risultarono 562 Caduti (fra i quali anche il figlio di Pansini, Adolfo), e fu anche grazie al loro sacrificio che Napoli poté essere la prima tra le grandi città europee a liberarsi dall’occupazione tedesca. La mattina del 1° ottobre i primi reparti esploranti britannici del 1st King’s Dragoon Guards entrarono in città. Dopo questa epica e tragica esperienza, Pansini scrisse Goliardi e scugnizzi nelle Quattro Giornate napoletane, memoriale pubblicato a Napoli nel 1946 presso Edizioni Cimento, per consegnare ai posteri una pagina importante della storia del popolo napoletano, che per un istante aveva riscattato la secolare acquiescenza della “plebe” meridionale, una pagina che strideva con la saga degli “Alleati liberatori”, i quali ebbero certamente un ruolo cruciale nelle vicende della campagna d’Italia, ma non per questo avrebbero avuto il diritto di oscurare l’eroismo italiano che pure c’era stato, anche al Sud. 

Edoardo Pansini e il dopoguerra 

Conquistata la libertà, la lotta di Pansini non era ancora finita, perché all’indomani della cacciata dei tedeschi non sciolse il Fronte Unico Rivoluzionario, ma lo impiegò per individuare e arrestare i tanti ex gerarchi fascisti che ancora si nascondevano in città, spesso accaparrando viveri per la borsa nera; Pansini non esitò a irrompere nelle loro case e a sequestrare i viveri indebitamente sottratti, ma paradossalmente l’amministrazione alleata lo accusò di violazione di domicilio, e non prestò attenzione al loro passato fascista. Inoltre, ordinò la chiusura della rivista Il Cimento. Da eroe, Pansini divenne un uomo scomodo, la cui lotta per la libertà andava, paradossalmente, troppo oltre, mentre invece la nuova amministrazione esigeva che si dimenticassero le divisioni di parte Per lunghi anni, finita la guerra, Pansini lottò con il governo italiano perché erigesse un monumento dedicato ai Caduti delle Quattro Giornate, ma solo nel 1969 (sei anni dopo la sua scomparsa), ne venne eretto uno, dedicato però a tutti i combattenti, cosa che gli dava un significato diverso seppur legittimo. L’arte ormai era solo un ripiego, e una delle ultime collettive cui prese parte fu quella organizzata nel 1953 dal Circolo artistico politecnico di Napoli, dove espose Paesaggio napoletano e I Camaldoli. Pansini è un artista, oggi purtroppo dimenticato, pochissime le opere in collezioni pubbliche (fra queste, il Trittico con figure allegoriche, del 1912, si trova al Museo del Novecento di Napoli), molte quelle in collezioni private. 

L’eredità di Edoardo Pansini 

Non era facile andare d’accordo, per citare Vanzina, con “i figli di quest’Italia, quest’Italia un po’ americana, sempre meno contadini, sempre più figli di puttana”. L’amarezza accompagnò l’ultima parte della vita di Pansini, artista, uomo d’azione e soprattutto uomo libero, uno dei non molti italiani per i quali l’etichetta di patriota è giustificata, e che l’Italia repubblicana deluse come deluse Longanesi e Guareschi, e con loro rifiutò, per citare un’immagine di Sciascia riferita a Pirandello, “la feroce e grottesca maschera di un mondo convulso, impazzito”. Pansini fu un personaggio scomodo perché le sue convinzioni e il suo atteggiamento durarono oltre le circostanze, e sempre sdegnò i compromessi; una filosofia che in Italia ha sempre dato fastidio, fino a Falcone e Borsellino, passando per Mattei e Dalla Chiesa. È questo che andrebbe ricordato di Pansini: il suo essere uomo libero pur nella prigione dell’ipocrisia e dell’opportunismo.  

Niccolò Lucarelli 

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Artribune

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