La sicurezza nazionale degli Stati Uniti è una questione di soldi

  • Postato il 12 dicembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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di Giacomo Gabellini

La National Security Strategy pubblicata recentissimamente dall’amministrazione Trump trae palesemente ispirazione alla stessa logica che innervava la bozza della National Defense Strategy visionata a settembre da Politico e dal Washington Post.

Il documento attesta uno spostamento del fulcro degli sforzi statunitensi verso l’emisfero occidentale, conformemente a una riformulazione attualizzata della Dottrina Monroe esplicitata con il cosiddetto “corollario Trump”. Il testo afferma chiaramente che, “dopo anni di negligenza, la Dottrina Monroe per ripristinare la preminenza statunitense nell’emisfero occidentale e proteggere la patria e il nostro accesso ad aree geografiche chiave in tutta la regione. Negheremo ai concorrenti non emisferici la possibilità di posizionare forze o altre capacità offensive, o di possedere o controllare risorse strategicamente vitali, nel nostro emisfero. Questo ‘Corollario Trump’ alla Dottrina Monroe rappresenta un ripristino efficace e ben congegnato del potere e delle priorità statunitensi, coerente con gli interessi di sicurezza nazionale“.

L’anteposizione degli interessi nell’emisfero occidentale delinea un ecosistema a cerchi concentrici che vincola gli Stati Uniti a porre sotto il proprio controllo i Paesi di più stretta prossimità geografica, da integrare in catene di approvvigionamento scollegate per quanto possibile da “Stati non emisferici” collocati su posizioni ostili.

Il riferimento è chiaramente diretto alla Cina, che la National Security Strategy si propone di contrastare rinsaldando lo schema di alleanza nello scacchiere asiatico e assegnando alle Us Navy il compito di presidiare le rotte commerciali nella macroregione dell’Indo-Pacifico.

I teatri mediorientale e soprattutto africano rivestono una rilevanza molto marginale nella visione strategica tratteggiata dall’amministrazione Trump. Stesso discorso vale per l’Europa, alla quale accollare oneri maggiori legati alla difesa nel contesto di una ripartizione di compiti e responsabilità che investe anche la Nato. Il ripiegamento statunitense comporta giocoforza una riconfigurazione dell’Alleanza Atlantica, di cui va bloccato il processo di allargamento in nome di un ribilanciamento strategico dei rapporti con la Russia.

La National Security Strategy dedica invece interi paragrafi alle finalità di natura economica. La conversione dell’intero emisfero occidentale nell’area di influenza esclusiva statunitense deve procedere di pari passo con la ricostruzione della base industriale, realizzabile canalizzando capitali sia nazionali che stranieri verso i settori di rilevanza strategica come l’intelligenza artificiale.
Il recupero di una dimensione concretamente produttiva riveste un’importanza fondamentale non soltanto in un’ottica di allentamento dei vincoli di dipendenza dall’esterno, ma anche per risollevare il tenore di vita di milioni di cittadini statunitensi.

Il documento si propone in buona sostanza di correggere storture in materia di pianificazione strategica accumulate per tre decenni, nel corso dei quali le classi dirigenti di Washington hanno “sovrastimato la disponibilità degli Stati Uniti ad accollarsi in pianta stabile oneri globali di cui la popolazione non intravedeva alcun collegamento con l’interesse nazionale. Hanno sopravvalutato la capacità degli Stati Uniti di finanziare, contemporaneamente, un enorme apparato di welfare, regolamentazione e amministrazione, insieme a un ciclopico complesso militare, diplomatico, di intelligence e di assistenza all’estero. Hanno puntato in modo enormemente sbagliato e distruttivo sul globalismo e sul cosiddetto ‘libero scambio'”, svuotando la classe media e la base industriale da cui dipende la preminenza economica e militare statunitense.

Le classe dirigenti del passato “hanno permesso ad alleati e partner di scaricare il costo della loro difesa sulla nostra popolazione, e talvolta di trascinarci in conflitti e controversie centrali per i loro interessi ma periferici o irrilevanti per i nostri. Hanno legato la politica statunitense a una rete di istituzioni internazionali, alcune delle quali guidate da un aperto anti-americanismo e molte da un transnazionalismo che cerca esplicitamente di dissolvere la sovranità dei singoli Stati. In sintesi, non solo le nostre élite hanno perseguito un obiettivo fondamentalmente indesiderabile e impossibile da raggiungere, ma così facendo hanno minato proprio i mezzi necessari per raggiungere tale obiettivo: il carattere della nostra nazione su cui si basava il suo potere, la sua ricchezza e la sua dignità”.
Come conseguenza di questi errori catastrofici, gli Stati Uniti hanno disperso risorse ed energie in conflitti localizzati in teatri periferici, ponendo le basi per una sovraestensione ormai anacronistica perché non commisurata alle capacità reali del Paese.

Sotto questo aspetto, la National Security Strategy messa a punto dall’amministrazione Trump restringe notevolmente lo spettro degli interessi e degli obiettivi statunitensi, ancorando la sicurezza nazionale statunitense a prospettive di rilancio economico che richiedono l’efficace gestione di sfide – dalla reindustrializzazione all’acquisizione di una posizione dominante nel campo dell’intelligenza artificiale – di portata epocale.

La National Security Strategy viene a configurarsi da un lato come una “chiamata alle armi” per un Paese che non riesce più a preservare la propria posizione egemonica. Dall’altro, come un embrionale tentativo di adattamento a un assetto internazionale caratterizzato dalla presenza di una molteplicità di centri di potenza concorrenti.

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Il Fatto Quotidiano

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