La Sardegna potrebbe usufruire di energie rinnovabili al 100% entro il 2030: ecco come
- Postato il 15 aprile 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Al 2030 la Sardegna potrebbe essere totalmente rinnovabile nel settore elettrico e senza grandi centrali a combustibili fossili, lasciando unicamente una ridotta quantità di gas per l’alimentazione dei processi industriali ad alta temperatura (ma non per la produzione di energia). È il risultato di uno studio condotto dal Politecnico di Milano, dall’Università degli Studi di Cagliari e dall’Università degli Studi di Padova e commissionato dal Coordinamento Free in collaborazione con il Consorzio Italiano Biogas e l’associazione Italia Solare. “Abbiamo scelto la Sardegna”, spiega Attilio Piattelli, presidente del Coordinamento Free, “perché è storicamente più elettrificata rispetto al resto del territorio italiano e avrebbe quindi la possibilità di una decarbonizzazione molto più rapida di quella che si potrebbe fare a livello italiano, visto che i consumi energetici complessivi dell’Isola sono relativamente bassi. Uno degli aspetti più importanti dello studio è che, sulla base delle simulazioni condotte, si arriva alla conclusione che – visto anche che la Sardegna è priva di una rete gas diffusa – non convenga affatto sostituire le centrali a carbone con quelle a gas: ci sarebbero solo costi aggiuntivi per cittadini e imprese, anche perché la maggior parte dell’energia la farebbero le rinnovabili e quindi i nuovi cicli a gas sarebbero inutili”.
Servono impianti piccoli, medi e grandi. Per raggiungere l’obiettivo serve incrementare di 5,4 GW la capacità solare installata e di 2,8 GW quella eolica. Lo studio prevede l’installazione di 7 GW di fotovoltaico, di cui 2/3 da medi e grandi impianti e un terzo da impianti a scala ridotta) e 4 GW di eolico (oltre la metà dei quali a terra). “Servono impianti di medie e grandi dimensioni”, spiega Piattelli, “perché altrimenti non si riesce a far abbassare il prezzo dell’energia sardo, che in questo scenario si ridurrebbe del 39% già al 2030”. Con una riduzione delle emissioni pari al 67%. In una seconda fase dello studio, con orizzonte al 2050, verranno prese in considerazione altre tecnologie sostenibili come l’idrogeno prodotto da rinnovabili, in modo da declinare una traiettoria di piena decarbonizzazione del sistema energetico della Sardegna.
Inutile e costoso riconvertire le centrali. E il fabbisogno di gas? “Come già detto, non c’è alcuna necessità di riconvertire le centrali a carbone in centrali a gas, non presenti in Sardegna, quindi fruibile solo a valle di significativi investimenti infrastrutturali; è molto più opportuno ed economico sostituire direttamente la produzione, che in gran parte è ancora a carbone, con una produzione completamente rinnovabile, accompagnata da grandi sistemi di accumulo”, spiega a sua volta Maurizio Delfanti del Politecnico di Milano, che ha coordinato lo studio insieme a Arturo Lorenzoni e Fabrizio Pilo. “Insomma non è profittevole passare attraverso una transizione con il metano”. L’utilizzo del gas sarebbe circoscritto agli usi termici di media e alta temperatura di aziende e industrie, con rigassificatori locali, mentre il settore termico civile utilizzerebbe biomasse (oltre a biogas e biometano) e altre misure di efficienza energetica come le pompe di calore. “Come rigassificatore”, nota il presidente del Coordinamento Free, “avrebbe senso solo quello di Oristano per servire le aree industriali del Sulcis e delle zone industriali di Cagliari, ma solo per usi termici di media e alta temperatura, non per produrre energia. Cosa a parte è se si dovesse decidere di riattivare il polo tecnologico della produzione locale dell’alluminio, in quel caso, visti gli ingenti consumi sia elettrici che termici, andrebbero valutate delle soluzioni di generazione dedicate tra le quali lo studio non esclude anche la possibilità di utilizzo del gas”.
Accumuli, infrastrutture, tecnologia. Fondamentali per la stabilità del sistema elettrico, ovviamente, nello scenario prospettato, sono gli accumuli (14 GWh) e la interconnessione con la rete italiana, raggiunta grazie alle infrastrutture di rete, come la costruzione dell’elettrodotto sottomarino Tyrrhenian Link. “Il progresso tecnologico, l’avvento di sistemi di accumulo, il compimento dei progetti infrastrutturali di potenziamento e completamento delle reti elettriche sono gli elementi fondamentali”, spiega sempre Delfanti. In questo modo si stabilizza il sistema e si fanno scendere i prezzi dell’energia. Rinnovabili più sistemi di accumulo è dunque la scelta su cui puntare secondo i ricercatori, con vantaggi ambientali ed economici. “Si tratta di scelte che influenzeranno per decine di anni il contesto energetico dell’isola”, spiega lo studio.
La controversia sul paesaggio e il tema della sicurezza energetica. Dallo studio emerge anche come, proprio nello scenario 100% rinnovabile, gli impianti fotovoltaici al 2030 avrebbero un impatto minimo sulla superficie agricola totale, occupandone 5000 ettari, meno dello 0,4%. Serve dunque una visione politica chiara, che superi ogni retorica contraria al cambiamento. “Purtroppo”, afferma Piattelli, “la discussione sul tema si sta traducendo in tutta una serie di norme e leggi regionali sulle aree idonee che sono di contrasto alle rinnovabili, facendo passare un messaggio essenzialmente negativo sulla transizione, che però trascura la sua urgenza, come unica soluzione di contrasto al cambiamento climatico, e tutti gli aspetti positivi che ne avremmo, dalla riduzione dell’inquinamento atmosferico, alla stabilizzazione e riduzione dei prezzi dell’energia, alla maggiore occupazione, per citarne solo alcuni. Inoltre, si parla sempre di ‘speculazione’ delle rinnovabili, ma è un termine usato a sproposito perché qualunque impresa cerca di fare dei giusti profitti, vale per qualsiasi settore industriale”. “Si parla molto degli impatti sul paesaggio”, aggiunge il ricercatore del Politecnico, “ma si dimentica che in Costituzione le due tematiche di preservazione del paesaggio e preservazione dell’ambiente anche nell’interesse delle future generazioni sono posti nello stesso piano, è quindi necessario trovare dei compromessi, ovviamente puntando su aree poco pregiate o incolte, come anche sull’agrivoltaico che preserva la biodiversità e le coltivazioni agricole dell’area”.
Infine, affermano sia Piattelli che Delfanti, dobbiamo ricordarci che esiste un tema di sicurezza energetica, “come i rovesci delle ultime settimane ci hanno mostrato”, nota il ricercatore. “In questo contesto geopolitico del tutto instabile diventa strategico raggiungere una reale indipendenza energetica, che non vuol dire che l’energia non possa essere trasferita tra gli Stati, ma che è meglio produrla localmente con le rinnovabili per ridurre e stabilizzare i prezzi: ecco perché faremo avere questo studio alla presidente Todde e lo diffonderemo quanto più possibile nell’opinione pubblica sarda, nonostante molti media locali remino purtroppo contro. Ma le scelte politiche che si fanno non possono non tenere conto dei risultati e delle indicazioni provenienti da studi scientifici”, conclude Piattelli.
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