La Resurrezione di Händel al festival Caracalla 2025: ottima esecuzione, a patto di tenere gli occhi chiusi
- Postato il 4 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Per il festival Caracalla 2025, che si tiene in realtà presso la Basilica di Massenzio, è andata in scena La Resurrezione di Händel, sublime oratorio, adattato da un libretto di Carlo Sigismondo Capece, composto per la domenica di Pasqua del 1708, in una storica esecuzione romana a Palazzo Ruspoli. Fece scandalo all’epoca la presenza del celebre soprano Margherita Durastanti (per editto papale era vietata la presenza di donne, le parti femminili erano interpretate da castrati).
Considero la musica di Händel nettare donato all’umanità quale balsamo per lenire il dolore connaturato all’esistenza, quindi non mi addentro in valutazioni, sarei parziale e stucchevole. Proprio per questo, ho altre considerazioni sulla prima del primo luglio. Applausi meritati per il direttore George Petrou, per gli interpreti Sara Blanch (abile e convincente come Angelo), Ana Maria Labin (commovente nel difficile ruolo di Maddalena), Teresa Iervolino (straordinaria Cleofe), Charles Workman (sobrio e dolente San Giovanni), Giorgio Caoduro (fascinoso e fiero Lucifero).
Si tratta di un’opera assolutamente non facile da restituire, soprattutto all’aperto. La resa complessiva al netto del garrito dei gabbiani e di alcuni squilibri nell’amplificazione che le orecchie più sensibili hanno potuto cogliere, è stata degna di un capolavoro. A patto di tenere gli occhi chiusi.
Al termine della rappresentazione sono rimasto senza parole: leggendo i commenti di diversi commentatori e critici ho capito di non essere completamente pazzo. La Resurrezione viene messa in scena come il dramma di una moderna famiglia borghese che ha perso un figlio piccolo. La regista Ilaria Lanzino ha spiegato la scelta; la rielaborazione di un lutto. Esprimiamo il massimo rispetto per il cordoglio vissuto, avremmo però gradito lo stesso rispetto per una tematica sacra (non solo nel Cristianesimo) e, non di meno, per l’arte di Händel. Non si può utilizzare un’opera di questo livello come occasione di personale introspezione psicanalitica.
Ribadisco fino alla noia: problematica non è l’innovazione, né la provocazione. Il punto è l’arbitraria assenza di pertinenza (ben prima dell’appropriatezza). Non era in scena Jean Genet: è letteralmente fuori luogo (concettualmente) affrontare la Resurrezione del Cristo creando un ibrido tra La stanza del figlio di Nanni Moretti e un film di Kenneth Anger. Che senso ha rappresentare gli angeli come cheerleader, Lucifero come una drag queen, la Maddalena in preda a psicofarmaci e alcolismo, che straccia i Vangeli e tira oggetti al Crocifisso, una comparsa dalle sembianze cristiche che sembra il drugo de Il Grande Lebowski, l’ennesimo pagliaccio in scena che più che al trickster fa pensare al clown di McDonald’s? Che senso ha mostrare un amplesso durante l’aria “Ho un non so che nel cor, che invece di dolor, gioia mi chiede”? Per carità, è vero che Händel riutilizzerà l’aria per l’Agrippina, ma in quel momento la Maddalena sta avendo un presagio quasi mistico della Resurrezione del Signore.
Ancora una volta, il punto non è la “blasfemia”, ma l’insensatezza, lo svuotamento di significato. Il tema sublime della Resurrezione che diventa un pretesto per esporre la miseria del dolore umano. Veramente il contrario del messaggio originale, ma senza nemmeno il titanico orgoglio della rivolta luciferina (a un certo punto l’angelo rivolta la croce, che poi viene appoggiata per terra, non si capisce perché). Offro, didascalicamente, una serie di esempi di provocazioni apparentemente irriverenti ma piene di consapevolezza filosofica: ne Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno di William Blake (1790!), l’angelo appare uno sciocco chierichetto, il Diavolo è sapiente portatore della saggezza gnostica: è un rovesciamento simbolicamente eversivo (e non satanista!) dell’ipocrisia dominante; nella Salomé di Carmelo Bene (1972) il Cristo è rappresentato come un vampiro: non è una bestemmia gratuita, è una interpretazione diremmo nietzscheana del tema dominante nel testo di Oscar Wilde, ovvero il vitalismo pagano che si scontra contro la morale cristiana; ne Il cattivo tenente di Abel Ferrara (1992) il protagonista offende il Crocifisso per non essere intervenuto a impedire lo stupro di una suora, a quel punto il Cristo scende portando la croce per le strade, tra l’indifferenza delle persone: è, se pur in maniera grossolana, una ripresa moderna, dostoevskijana del tema della teodicea.
Si può innovare, si può provocare: a patto di avere gusto e consapevolezza.
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