La natura bella delle cose, il saggio-memoir che racconta come le nostre scelte contribuiscono a cambiare il mondo

  • Postato il 18 settembre 2024
  • Cultura
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Pubblichiamo un estratto de La Natura Bella delle Cose di Barbara Nappini, presidente di Slow Food (Slow Food Editore, Collana: Terra Madre, Pagine 192, 16,50 Euro). In libreria dal 18 settembre, il saggio accorato di Nappini ci invita all’azione raccontandoci non soltanto quello che nel mondo non funziona ma anche, e soprattutto, gli uomini e le donne che possono rendere la nostra Terra migliore, nella sua bellezza più autentica. La bellezza, motore silenzioso e potente in grado di riconnetterci con gli altri e con quello che ci circonda: le cose belle sono le azioni quotidiane, solo apparentemente insignificanti, impastare il pane, affrontare realtà dure ma sorprendenti, come salire su una nave che salva vite in mare, discutere sulla potatura degli olivi riconoscendo il valore degli alberi e dei loro frutti, rispondere alla violenza con gesti di pace. Grandi e piccole scelte che ci permettono di restare umani.

IL CIBO E LA LIBERTA’- cap. 2

Essere capaci di produrre cibo è un atto rivoluzionario, espressione dell’autonomia e della consapevolezza che riguarda collettivamente il diritto delle popolazioni, e degli Stati, di decidere del proprio regime alimentare. Un cibo deve essere adeguato agli esseri umani in funzione non solo della loro sopravvivenza ma anche della cultura, rispettoso di un sistema valoriale, di credenze religiose, di rituali identitari. D’altronde, le tradizioni alimentari sono intrinsecamente connesse con i luoghi, con i climi, con la conformazione geografica e geologica, con l’ubicazione relativa di un territorio. Perciò l’adeguatezza culturale e quella ambientale di un regime alimentare sono indissolubilmente intrecciate. E insieme è da considerare anche il profilo nutrizionale: il regime alimentare della popolazione inuit sarà inevitabilmente molto diverso da quello di una comunità del Mali. E, infine, deve garantire i requisiti di piacevolezza; sappiamo che gli stessi alimenti vengono apprezzati in maniera differente nel mondo: in India bambine e bambini sono abituati a mangiare cibi piccanti, i grilli sono apprezzatissimi nel Sudest asiatico, mentre in Giappone la marmellata di fagioli è considerata una rara leccornia.

Tutto questo afferisce alla sovranità alimentare. Nell’aprile 2008 l’International Assessment of Agricultural Science and Technology for Development, un panel intergovernativo patrocinato dalle Nazioni Unite e dalla Banca mondiale – ha adottato la seguente definizione: «La sovranità alimentare è definita come il diritto dei popoli e degli Stati sovrani a determinare democraticamente le proprie politiche agricole e alimentari (International Assessment of Agricultural Knowledge, Science, and Technology for Development, su openknowledge.worldbank.org).

Ma il concetto di sovranità alimentare è stato introdotto per la prima volta dal movimento internazionale Via Campesina, durante la sua Conferenza internazionale svoltasi a Tlaxcala, in Messico, nell’aprile del 1996. Via Campesina è un’organizzazione internazionale di agricoltori fondata nel 1993 a Mons, in Belgio, formata da 182 organizzazioni in 81 Paesi: un movimento internazionale che coordina le associazioni contadine dei piccoli e medi produttori, dei lavoratori agricoli, delle donne rurali e delle comunità indigene di Asia, Africa, America ed Europa. La sua è una visione che si pone in antitesi al modello neoliberale di globalizzazione delle imprese: il concetto di sovranità alimentare che Via Campesina propone prevede un legame indissolubile tra cibo e politiche del cibo, produzione agricola, ecosistemi, territori e comunità che quei territori abitano, la loro cultura e identità. La sovranità alimentare è strettamente legata alla biodiversità e valorizza il lavoro legato alla produzione alimentare di piccola e media scala, spesso svilito e nascosto, ma che produce quantitativi rilevanti di cibo nel mondo.

La sovranità alimentare riguarda tutti noi, non solo i popoli indigeni: da decenni Slow Food si occupa di questo tema supportando e promuovendo i sistemi locali del cibo. Si tratta di produzioni fortemente legate al territorio, basate sulle connessioni, sulle comunità, in grado di combattere lo spreco alimentare, di valorizzare la produzione di piccola e media scala e di proteggere la biodiversità. Sistemi di produzione a bassi input esterni e ad altissimo tasso di competenze, creatività e buone pratiche.

Nel 2014 un rapporto faro della Fao calcolava che nove su dieci dei 570 milioni di aziende agricole del Pianeta erano a conduzione familiare e producevano approssimativamente l’80% del cibo mondiale. Eppure, questo tipo di agricoltura viene tutt’oggi definita come “alternativo”, e narrato di conseguenza. C’è un lavoro importante da svolgere sulle parole: quando abbiamo iniziato a riflettere sull’edizione 2022 di Terra Madre Salone del Gusto, l’evento che ogni due anni chiama a raccolta il mondo della produzione alimentare internazionale di piccola e media scala, abbiamo scelto il tema della Rigenerazione. È stato pressoché immediato pensare a una rigenerazione del pensiero e del linguaggio: perché, se è vero che il nostro pensiero influenza il nostro linguaggio, è vero anche il contrario, cioè che le nostre parole condizionano i nostri pensieri e il nostro sentire. Allora, se il linguaggio deve essere al servizio della verità e non degli interessi specifici di alcuni, si devono indagare le parole, si devono scegliere accuratamente e dove mancano inventarle: difendere il linguaggio dal dominio di pochi affinché sia al servizio di tutti. Perché è proprio questo il punto: il bene comune contrapposto al privilegio di pochi.

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Il Fatto Quotidiano

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