La manovra taglia sulla mobilità sostenibile e Roma paga il prezzo più alto
- Postato il 28 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Linda Meleo*
Mentre le città sono costantemente alle prese con misure per migliorare la qualità dell’aria, e quindi la salute dei cittadini, e soffrono di enormi costi legati al traffico, per far quadrare la nuova modesta Legge di Bilancio, il governo Meloni fa arrivare tagli lineari ai Ministeri. Tra i dicasteri più colpiti c’è il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, guidato da Matteo Salvini, che sceglie di ridurre gli investimenti sulla mobilità sostenibile urbana. Scelta nefanda per le città, ma non sorprendente considerato gli impegni miliardari presi sul Ponte sullo Stretto di Messina.
La Nota integrativa al Disegno di Legge di Bilancio 2025-2027, nella sezione dedicata al trasporto, nelle cifre parla chiaro: oltre 760 milioni di euro in meno nel triennio per metropolitane, tram, bus ecologici e ciclovie. Il Fondo per il Trasporto Rapido di Massa passa da 3,7 miliardi a 3,37 miliardi, con -330 milioni di euro di riduzione effettiva tra tagli e rinvii.
E Roma è la città che paga il prezzo più alto: -50 milioni per la Linea C, taglio che incide direttamente sul cantiere di piazza Venezia, il più complesso dell’intero progetto e decisivo per la prosecuzione verso Clodio. Senza quelle risorse, la continuità del cantiere rischia di saltare, con ricadute su costi e tempi. A questi si sommano -27 milioni rinviati su tram e prolungamenti metropolitani. A questi due importi, si potrebbe aggiungere altre voci, col rischio di arrivare a -118,5 milioni di euro in meno per Roma solo nel triennio 2025-2027, vale a dire i tagli sulle ciclovie turistiche (il GRAB per Roma) e dei fondi per il trasporto pubblico locale (che arrivano per il tramite della Regione Lazio).
Un importo importante, definito “poco significativo” da alcuni esponenti della maggioranza di FdI, ma che pesa su una città già soffocata da congestione e smog. Secondo il Rapporto Legambiente Mal’Aria 2025, Roma ha registrato una media annuale di 25 µg/m³ di PM10 e 30 µg/m³ di NO₂, con picchi di 42 µg/m³ nella centralina di traffico urbano “Fermi” nel 2024. Per rispettare i nuovi limiti europei previsti dal 2030 (20 µg/m³), la Capitale dovrà ridurre le concentrazioni del 19% per il PM10 e del 32% per il NO₂. Il traffico inoltre continua a generare costi sociali importanti, come quelli legati all’incidentalità, stimati dal Rapporto Mobilità Roma 2025 in 1,19 miliardi di euro nel 2024 (+2,7% rispetto al 2023). Tagliare fondi a metro, tram e bus in un contesto simile significa scegliere deliberatamente di peggiorare la qualità della vita e la competitività economica della città.
Roma non è un caso isolato. Anche le altre grandi aree urbane subiscono tagli: -20 milioni a Napoli, -18 a Milano, -15 a Torino, -13 milioni complessivi per Genova, Palermo e Firenze. Parallelamente, il programma di rinnovo del parco autobus ecologici perde 150 milioni di euro nel biennio 2025–2026, e il Fondo nazionale per il trasporto pubblico locale viene ridotto di 100 milioni all’anno per tre anni, per un totale di 300 milioni di euro in meno. Inoltre, il fondo per il rinnovo contrattuale del personale TPL, pari a 50,4 milioni di euro, viene azzerato. Come già accennato sopra, perfino le ciclovie turistiche vengono ridimensionate del 40% negli obiettivi fisici (da 1.235 a 746 km da completare entro il 2026) con 10 milioni di euro in meno.
Il paradosso è che, mentre le città vengono lasciate senza risorse, l’opera simbolo del governo Meloni e di Salvini, ossia il Ponte sullo Stretto di Messina, non subisce riprogrammazioni o tagli e conferma tutte le poste previste per i prossimi anni (1,03 miliardi nel 2025, 1,3 miliardi nel 2026, 1,78 miliardi nel 2027, per un totale di 4,11 miliardi di euro nel triennio). Una sola infrastruttura riceve più fondi di tutte le metropolitane italiane messe insieme. Un messaggio chiaro: si toglie alle città per finanziare, fermandoci alle sole opere di mobilità, un’unica infrastruttura che non ridurrà traffico, emissioni né costi sociali, ma che serve solo a reggere una narrazione politica.
E nell’epoca dei tagli, non va meglio agli altri settori. La sanità vede risorse statiche a fronte dell’inflazione, l’istruzione arretra in termini reali e gli enti locali vengono lasciati a gestire bilanci sempre più compressi. In questo contesto, la scelta di definanziare i capitoli sulla mobilità appare ancora più ingiustificata, perché colpisce proprio le politiche con il maggior impatto positivo su salute, equità e produttività.
In questo scenario, la scelta del governo Meloni appare priva di coerenza: si parla di “Italia che corre”, ma si penalizzano proprio le città, che sono i veri motori economici del Paese. Quando si penalizzano le città, non si ferma solo la mobilità: si ferma anche la crescita, l’innovazione e la fiducia dei cittadini in un futuro sostenibile.
*Professore Associato di Economia Applicata ed ex Assessore alla Mobilità di Roma
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