La Grande Genova compie 100 anni e li dimostra: analisi di una decrescita (infelice?) e delle tante incognite

  • Postato il 2 novembre 2025
  • Politica
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Genova, la unità amministrativa nota come Grande Genova, compie 100 anni.

E sembra essere una città capovolta rispetto a quella che nel febbraio del 1926 Benito Mussolini aveva creato, unificando il suo centro storico con una ventina di piccoli comuni del suo variegato circondario, tra mare, monti e vallate interne.

Era allora, al momento del suo nuovo battesimo, una città di 600 mila abitanti e oggi dopo un secolo intero ha quasi la stessa popolazione, contando 550 mila cittadini, dopo altalenati e opposti terremoti demografici.

Mill l’opposto il Inoltre oggi più del 50 per cento di questa popolazione è fatta di anziani over 65 e, altro dato impressionante, il 52 per cento è formato di famiglie composte da una sola persona.

Ma la questione non è solo quella demografica, precipitata in realtà negli ultimi trenta anni, ma è proprio il diverso destino socio economico di quella che era battezzata come la Superba per la sua imponenza sul mare, al centro del grande golfo ligure e così cantata nei versi scolpiti di Petrarca.

A Genova nacque l’industria italiana

La Grande Genova compie 100 anni e li dimostra: analisi di una decrescita (infelice?) e delle tante incognite, nella foto un menifesto della Ansaldo
La Grande Genova compie 100 anni e li dimostra: analisi di una decrescita (infelice?) e delle tante incognite – Blitzquotidiano.it (foto ANSA)

Cento anni fa lo sviluppo era determinato saldamente da quello portuale, la radice genetica genovese e da una industrializzazione impostata da Cavour e poi cresciuta in modo esponenziale nel primo e nel secondo dopoguerra.

Allora Genova diventò praticamente la capitale dell’ Iri e il capolinea con Torino e Milano di una immigrazione interna massiccia in  quel triangolo del Nord Ovest, a lungo epicento dello sviluppo italiano, motore di ciò che è stato il boom economico. Mentre il Nord Est era ancora sottosviluppato.

Oggi questo destino si è come capovolto e Genova ha perso sicuramente la parte industriale del suo sviluppo, mantenendo a fatica una leadership portuale, che non è neppure più quella degli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento.

La grande ritirata dí pubblico e privato

Fare l’elenco delle “perdite” industriali, come ha diligentemente scritto, su “Il Secolo XIX” di Michele Brambilla, Domenico Ravenna, già attento cronista economico de “Il Sole 24 ore”, è un esercizio disarmante, perché tocca non solo la ritirata delle grandi aziende Iri , Italsider, Ansaldo. Italimpianti, Elsag in testa, ma riguarda la quasi totale volatilizzazione dell’industria privata, che non era solo sotto l’ombrello parapubblico.

Si va dai cervelli e dagli stabilimenti di aziende come Eridania, Miralanza, Piaggio e Ferruzzi  e Silos, a Saiwa, Elah Dufour Paneangeli, Aura nel settore dolciario, ai grandi centri direzionali petroliferi di Esso, Shell, Ip, a imprese private potenti come Bruzzo, Lo Faro, al Cotonificio Ligure, al settore chiave dei colorifici Boero, Attiva, Brignola….

Un vero cimitero nel quale spuntano anche le croci di dismissioni in uno dei settori ancestrali, di Genova come quello assicurativo, che ha perso compagnie come Lloyd Italico , Italia, Comitas.

Per non parlare, tornando nell’ambito del mare e del porto, a decine di imprese armatoriali, grandi e piccole.

Insomma, mentre si evolveva il destino demografico, che aveva toccato la punta di 861 mila abitanti nel 1965, con la fantasia di arrivare fino a un milione, si modificava prevalentemente quello economico, con annessa una trasformazione urbanistica colossale.

La trasformazione della Valpolcevera, sede della grande manifattura diventata territorio della grande distribuzione, che ha preso campo sul finale del Novecento intorno al colosso Ikea, è il segnale più forte.

Così oggi il nuovo orizzonte di questa città dimagrita è quello ancora portuale, ma intorno Genova sembra una città di servizi e aziende logistiche, perfino di turismo e overturismo, non proprio “la città dei camerieri” che il Pci duro e puro degli anni Settanta denunciava, salvo poi in qualche modo essere costretto a pianificarla, a partire dal 1992 del Cinquecentenario colombiano.

Certo è una città che ha scoperto il turismo e anche quello delle sue bellezze artistiche. Nel 1926, e fino agli anni Ottanta, “presentare” una Genova, preda dei turisti era inimmaginabile e, invece, oggi basta contare tre milioni di turisti all’anno sbarcare o imbarcarsi sulle gigantesche navi da crociera, che con la loro mole invadono il porto, modificandone le proporzioni e la vita, per capire come tutto si sia capovolto.

A gestire questa trasformazione sono state diverse generazioni di pubblici amministratori, una decina di sindaci, che hanno affrontato  sopratutto chiusure di fabbriche, modificazioni colossali del tessuto territoriale.

In questo quadro il destino industriale è ancora abbrancato ai cantieri navali di Fincantieri e delle Riparazioni navali, che prosperano e che continuano a costruire scafi di navi grandi e piccole e addirittura stanno allargando lo spazio con un ribaltamento a mare della propria “fabbrica”.

Poi c’è la grande incognita siderurgica e ambientale di Cornigliano, la “ madre di tutte le fabbriche”, che vorrebbe continuare a produrre acciaio e invece affronta una possibile e catastrofica chiusura con conseguenze sociali inimmaginabili o una ripresa con un forno elettrico che ha già scatenato reazioni ambientaliste e politiche molto forti.

Questa vicenda riassume un po’ il passaggio “capovolto” della città nel suo centenario: restare appesi anche all’industria, una delle sue matrici chiave o abbandonare anche questo fronte, liberando una delle aree più preziose del Nord Italia, “a filo banchina”, ma confinante con l’aeroporto, il “Cristoforo Colombo”, anch’esso incerto nella sua prospettiva di scalo periferico, con pochi voli e prezzi altissimi (volo per Roma almeno 800 euro) o rilanciato dal nuovo “doge” che Genova può trovare, in quello che è di fatto l’uomo più potente sulla città ma esterno ad essa, l’armatore ultramondiale Gianluigi Aponte, 85 anni, oramai il secondo player marittimo mondiale, con interessi importanti anche a Genova, teoricamente interessato alle piste aeroportuali genovesi, come hub delle sue crociere.

Il nodo industria-aeroporto-logistica dimostra anche come in un secolo Genova è diventata da città tra le più aperte in quanto a comunicazioni  a oggi la più isolata, con le autostrade invase dai cantieri dopo il crollo del ponte Morandi (la catastrofe più grave nel secondo cinquantennio del secolo) , la ferrovia ferma ai due valichi che esistevano già oltre cento anni fa, l’Alta velocità chenon arriva sotto la Lanterna.

Questo isolamento che sta facendo diventare Genova come un lago chiuso e capovolge un po’ quella atavica grande capacità di comunicazione del popolo genovese, caratterizzato in secula saeculorum dalla facilità dei traffici, dalle partenze e dagli arrivi.

Resta il porto, che esattamente quasi alla vigilia della fondazione  del 1926 era stato ricostruito, grazie alla munificenza del Duca di Galliera, marchese Raffaele De Ferrari, principe di Lucedio, che finanziò la diga, che permise alle banchine di imporsi nel mondo.

E oggi la nuova diga è in costruzione con un’opera colossale, unica al mondo per la difficoltà e la profondità dei fondali.

Sarà pronta tra due anni. E allora Genova forse avrà incominciato a capovolgersi di nuovo.

Grazie alla sua storia ancestrale, fatta di navigatori e di santi, come san Giorgio, il suo protettore insieme a San Lorenzo e a San Giovanni Battista. E forse San Giorgio avrà ammazzato il suo drago di oggi che ha tanti nomi.

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Blitz

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