La crisi della cantieristica Usa pregiudicherà il futuro dell’Aukus? L’analisi di Caruso
- Postato il 12 marzo 2025
- Difesa
- Di Formiche
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L’accordo sui sottomarini nucleari australiani, fiore all’occhiello del patto Aukus (Australia – Regno Unito – Stati Uniti), sta mostrando preoccupanti crepe. L’Australia ha recentemente versato 500 milioni di dollari agli Usa come primo pagamento di un totale di tre miliardi previsti, ma crescono i dubbi sulla concreta realizzazione del programma.
Una scommessa rischiosa
Il piano originale prevedeva che l’Australia acquistasse tra tre e cinque sottomarini nucleari classe “Virginia” dagli Stati Uniti a partire dal 2032, per poi costruirne di propri dal 2040. Un investimento colossale: 368 miliardi di dollari fino al 2050.
Ma secondo quanto riportato recentemente dal Congressional Research Service americano, la capacità produttiva navale statunitense è talmente compromessa da non riuscire a soddisfare nemmeno il fabbisogno interno. Una proiezione indica che nel 2032 gli Usa avranno metà dei sottomarini necessari e stanno costruendo nuove unità a un ritmo dimezzato rispetto alle esigenze.
L’amministrazione Trump e l’incertezza alleata
La nuova amministrazione Trump ha accentuato queste preoccupazioni. Il mantra “America First” e il disimpegno verso l’Ucraina hanno evidenziato un approccio transazionale alle alleanze. Come ha dichiarato l’ex-primo ministro australiano Malcolm Turnbull: “Non possiamo dare per scontato che gli americani saranno sempre presenti”.
Sebbene il segretario alla Difesa Pete Hegseth abbia recentemente confermato l’impegno verso Aukus, gli esperti temono che i sottomarini, anche se costruiti, potrebbero non essere mai consegnati sotto controllo australiano, rimanendo unità americane semplicemente basate in Australia.
Dal contratto francese all’Aukus: una scelta controversa
La vicenda si complica ricordando che nel 2021 l’allora primo ministro Scott Morrison cancellò unilateralmente un accordo da cinquanta miliardi di dollari firmato nel 2016 con il gruppo navale francese per sottomarini diesel-elettrici. Quella decisione provocò una crisi diplomatica con la Francia, con il presidente Emmanuel Macron che accusò pubblicamente Morrison di averlo ingannato.
L’amministrazione Biden, pur non avendo gestito ottimamente la comunicazione con Parigi, riuscì a ricucire parzialmente i rapporti. Oggi, con Trump, quella che sembrava una mossa strategica vincente rischia di trasformarsi in un costoso errore.
“L’Australia ha sacrificato il suo onore, la sovranità e la sicurezza”, sostiene ancora Turnbull riguardo all’accordo Aukus. “Stiamo spendendo una fortuna, molto più di quanto avrebbe comportato la partnership con la Francia, e molto probabilmente finiremo per non avere alcun sottomarino”.
Alternativa francese o piano B?
Alcuni esperti, come l’ammiraglio in pensione Peter Briggs, suggeriscono di riconsiderare l’opzione francese, orientandosi verso i sottomarini classe “Suffren”, più piccoli ed economici. Altri propongono un “Piano B” che preveda di investire in tecnologie alternative: sistemi senza equipaggio, intelligenza artificiale e armi ipersoniche.
Emerge inoltre un interrogativo sul vero scopo dell’accordo. Secondo Clinton Fernandes, professore di studi politici internazionali, “il vero obiettivo è dimostrare la rilevanza dell’Australia per la supremazia globale degli Stati Uniti”, fungendo da “stato sentinella” contro l’espansione cinese.
Un equilibrio precario
L’Australia si trova ora in una posizione difficile: ha investito risorse e capitale politico in un accordo che potrebbe non mantenere le promesse. L’attuale flotta di classe “Collins” invecchia rapidamente e, senza sostituti, si aprirebbe una pericolosa vulnerabilità nella difesa australiana.
Il recente episodio di navi da guerra cinesi che hanno circumnavigato l’Australia, conducendo esercitazioni a fuoco nel Mar di Tasman, evidenzia l’urgenza della questione.
La vicenda Aukus rappresenta un monito per tutti gli alleati americani: l’affidabilità delle garanzie di Washington è sempre più condizionata dagli interessi interni Usa, con implicazioni profonde per le strategie di sicurezza globali.