La Corte suprema decide sui dazi. Trump: “Questione di vita o di morte”. Cosa succede se saranno dichiarati illegittimi

  • Postato il 5 novembre 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Il caso che va alla Corte Suprema degli Stati Uniti è, letteralmente, questione di vita o di morte per il nostro Paese”. Parola di Donald Trump, che per una volta non ha sminuito la portata di un pronunciamento giudiziario. Il fatto è che nel pomeriggio italiano i nove giudici della più alta corte della magistratura federale, sei di quali sono di nomina repubblicana, si pronunceranno su uno dei punti più controversi e decisivi dell’agenda economica della seconda presidenza del tycoon: la legittimità dei dazi “reciproci” imposti a partire da aprile a una lunga lista di Paesi senza l’autorizzazione del Congresso. Compresi quelli del 15% che al momento gravano sulle merci europee.

La causa ha avuto origine in primavera, quando due aziende Usa – Learning Resources e hand2mind, entrambe produttrici e importatrici di giocattoli e materiale educativo – hanno fatto ricorso sostenendo che l’amministrazione avesse abusato del International Emergency Economic Powers Act del 1977. Quella legge era stata pensata per gestire crisi internazionali limitate, ma Trump l’ha invocata per giustificare un regime tariffario permanente e generalizzato. Il 22 aprile il tribunale distrettuale di Washington ha accolto il primo ricorso, sospendendo la riscossione dei dazi e definendo “non autorizzato” il ricorso a quell’atto assenza di una vera emergenza nazionale. Poche settimane dopo, anche la Court of International Trade ha espresso un parere analogo, accogliendo altri ricorsi presentati dall’importatore di vini V.O.S. Selections e da alcune piccole imprese penalizzate dalle nuove tariffe. La Casa Bianca ha immediatamente impugnato le decisioni. Ma la Corte d’Appello federale, il 30 agosto, ha confermato gran parte delle conclusioni dei giudici inferiori, aprendo la strada all’ultimo grado di giudizio.

L’udienza di oggi vedrà la prima valutazione nel merito su una misura bandiera di Trump. Secondo la stampa statunitense, nonostante la maggioranza della Corte sia di nomina repubblicana e tre giudici siano stati nominati dallo stesso Trump durante il primo mandato l’esito è apertissimo. Come ha scritto Politico, il caso fa emergere la contraddizione tra due principi cardine del pensiero giuridico conservatore: da un lato l’idea che al presidente spetti la massima discrezionalità in materia di sicurezza nazionale e politica estera, dall’altro la diffidenza della Corte guidata da John Roberts (nominato da George W. Bush) sulle ingerenze del governo nell’economia. Un ruolo chiave potrebbe averlo Brett Kavanaugh, nominato da Trump e figura di confine tra le due correnti: è storicamente favorevole a un’ampia libertà d’azione del presidente in politica estera, ma anche tra i sostenitori della dottrina secondo cui le decisioni esecutive di grande impatto economico devono poggiare su un chiaro mandato del Congresso.

Il presidente non pare tranquillo. In un post su Truth Social ha scritto: “Con una vittoria, avremo una straordinaria ma giusta sicurezza finanziaria e nazionale. Senza di essa saremmo praticamente indifesi di fronte a Paesi che da anni approfittano di noi”. Trump non sarà in aula, ma a rappresentare l’amministrazione ci sarà il segretario al Tesoro Scott Bessent, che lo ha annunciato durante un’intervista a Fox News. “È una questione di sicurezza nazionale,” ha confermato, spiegando che i poteri commerciali presidenziali sono stati esercitati per “governare le partnership estere in un periodo di emergenza economica”. Bessent ha anche anticipato, a dimostrazione di quanto aperto sia l’esito, che la Casa Bianca dispone di un “piano B” nel caso la Corte bocci l’uso dell’IEEPA: ricorrere alla Sezione 338 dello Smoot-Hawley Tariff Act del 1930, che consente al presidente di imporre dazi fino al 50% per un periodo massimo di cinque mesi sulle merci di Paesi che applicano politiche “discriminatorie” nei confronti delle aziende Usa. Senza bisogno di un voto del Congresso, ma solo in risposta a episodi concreti e documentati. L’eventuale proroga richiederebbe invece un via libera parlamentare. Si tratterebbe quindi di uno strumento molto più circoscritto, utile per colpire singoli partner ma non per mantenere nel tempo il sistema di dazi generalizzati che è il cuore dell’“America First”.

Trump, dal canto suo, continua a difendere la legittimità dei suoi interventi, sostenendo che l’afflusso di fentanyl dal Messico, dalla Cina e dal Canada e i disavanzi commerciali con l’estero giustificano la proclamazione dell’emergenza economica nazionale e l’imposizione di dazi reciproci su scala globale. E avverte che una sconfitta giudiziaria “indebolirebbe gli Stati Uniti” e li precipiterebbe in un “disastro finanziario per molti anni a venire”.

Di sicuro, se la Corte dovesse respingere la tesi dell’amministrazione sarebbe il caos: l’intero sistema delle tariffe bilaterali sarebbe esposto a ricorsi e richieste di rimborso multimiliardarie. Secondo dati del Tesoro, dopo il Liberation Day di aprile gli incassi da tariffe sono cresciuti in modo costante. In agosto e settembre hanno superato i 31 miliardi di dollari. Dall’inizio del 2025 le entrate doganali hanno raggiunto 214,9 miliardi di dollari, ben oltre il doppio rispetto ai 77 miliardi registrati nell’intero 2024.

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