Kalid Abaker e la guerra silenziosa in Sudan: “Con Support Survivors of African War portiamo aiuti dove i riflettori sono spenti”
- Postato il 3 dicembre 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
- 7 Visualizzazioni
Ha raccontato la sua storia e il suo percorso migratorio insieme ad Alessandro Baldini, nel libro Dalla terra del dio serpente al C.A.R.A Milano. Kalid Abaker è arrivato in Italia dal Sudan nel 2017 e oggi vive a Vigevano con la moglie e una figlia di quattro anni. Laureato in statistica, ha 37 anni, lavora e studia Data Science all’Università Bicocca di Milano.
Dal Sudan, dove era impiegato con l’Unicef, è dovuto fuggire per motivi politici, perché perseguitato dal regime. Il primo viaggio, nel 2013, è finito in un carcere libico, da dove è fuggito, dopo quattro mesi, per tornare di nuovo nel suo Paese. Dopo aver lavorato lì due anni ha provato di nuovo, sempre passando per la Libia e poi con un barcone fino in Italia.
Oggi, oltre a lavorare e studiare, Kalid Abaker è direttore per l’Italia di Support Survivors of African War, un’evoluzione del progetto “Support survivors of Sudan War”, dedita al supporto dei sopravvissuti delle guerre africane, con il progetto Sudan come obiettivo primario e punto di partenza.
Il progetto è concreto e mira a supportare sul territorio africano e in particolare sudanese rifugiati, donne e bambini. “Mettersi in contatto con le persone in Sudan è difficile”, spiega Kalid Abaker, “ma noi dobbiamo fisicamente sostenere le persone sfollate dalle loro case. E lo facciamo, ad esempio, mandando un container di aiuti umanitari, che includono materiali scolastici, beni e medicine. Su questo fronte ci hanno aiutato alcune associazioni, come Mediterranea e il Banco farmaceutico di Milano. Vogliamo raggiungere le persone che vivono nei campi, che sono fuggite per andare nei campi rifugiati di Abougoudam e Adaré nella città di Abashè, dove ci sono più di quattro milioni di persone. Non solo. Stiamo realizzando un ulteriore progetto più grande, basato sempre sullo studio della situazione di coloro vivono nei campi profughi e che partirà a gennaio, sempre un aiuto direttamente sul posto. Grazie a Mediterranea e Rescue Team”.
L’associazione assorbe tante energie: Kalid Abaker lavora fino alle sedici, poi dopo quell’orario si dedica a tutti gli aspetti organizzativi. “Siamo un centinaio di volontari”, spiega, “la maggior parte sudanesi, ma ci sono anche italiani. Inoltre, sono anche segretario del Coordinamento italiano delle Diaspore per la Cooperazione Internazionale (CIDCI) creato due anni fa. Noi come associazione abbiamo aderito al Coordinamento in Lombardia”.
Occuparsi di guerra in Sudan non è facile. L’attenzione pubblica, infatti, è soprattutto focalizzata su Gaza. “Sì, è così e infatti questo tema lo abbiamo sempre portato avanti. Abbiamo sofferto moltissimo per la guerra del Sudan, anche perché non ne parla nessuno. Per questo quando abbiamo iniziato abbiamo subito pensato di fare una cosa di advocacy, parlando di ‘guerra silenziosa’. Sono andato in giro per l’Italia a fare conferenze e incontri, ma anche in Francia e in Germania. Il problema è che si tratta di una guerra civile, non è una guerra di aggressione, non c’è un attacco da un’altra nazione, non è come l’Ucraina o la Striscia di Gaza, ma c’è lo stesso dolore, anche se la soluzione dovrebbe essere interna. Noi non chiediamo di intervenire, ma di non ignorare la sofferenza che è uguale anche se la guerra è civile. Piano piano per fortuna siamo riusciti a dare questa visione alla maggior parte degli italiani, si sa cosa sta accadendo, grazie anche alle associazioni che ci hanno aiutato”.
L’idea di Kalid Abaker e di “Support Survivors of African War” è quella di far diventare il loro progetto un progetto pilota, “che possa poi aiutare Paesi africani con caratteristiche simili al Sudan in cui ci siano profughi: Egitto, Etiopia, e anche per il Congo stiamo cercando di capire come trattare, anche lì dobbiamo cercare di provare qualche strategia per aiutare i congolesi. Quello che vogliamo è avere una visione, questa è la cosa più importante, anche per coinvolgere le persone della diaspora nell’associazione, perché non dimentichino il loro Paesi di origine. Il Sudan non si conosce, Gaza sì, anche perché la situazione di conflitto c’è da tanti anni. Noi”, conclude Kalid Abaker, “cerchiamo di lavorare su questo doppio fronte. Aiuto materiale, concreto. E advocacy, perché tutti possano conoscere la situazione nel mio, nostro Paese”.
L'articolo Kalid Abaker e la guerra silenziosa in Sudan: “Con Support Survivors of African War portiamo aiuti dove i riflettori sono spenti” proviene da Il Fatto Quotidiano.