Juventus attonita nello Studio Ovale da Trump: cronaca di una giornata di sport-non-sport

  • Postato il 20 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Geniale Trump, invitare nel leggendario Studio Ovale della Casa Bianca la Juventus dell’amico John Elkann – un segnale alla Meloni da parte di entrambi… – per parlare poi del conflitto tra Israele e l’Iran, ribadire le sue ossessioni in materia transgender e immigrazione, criticare la presidenza Biden per dire che il suo predecessore la pensava in fondo come lui ma erano altri a disporre diversamente, insomma, usare il calcio, lo sport più popolare del mondo, come pretesto per rifarsi il trucco da ottimo entertainer, eclettico nell’affrontare qualsiasi situazione perché, sono state le sue testuali parole, “io ho tante idee, ma decido sempre all’ultimo momento quale scegliere”, ed è un avviso ai naviganti, intesi come capi di Stato che, mentre lui si preoccupa di trovare una soluzione alle drammatiche crisi che stanno incendiando il mondo, brigano per intavolare una trattativa con Teheran, ma tanto è la sottotraccia delle sue parole, soltanto io sono in grado di risolvere la questione, sia con l’arma diplomatica o con le armi e basta, però ancora non so né quando né cosa scegliere, ed è sorprendentemente insolito vedere alle sue spalle i sei giocatori della Juventus che assistono attoniti e prudentemente in silenzio al teatrino più assurdo degli ultimi giorni.

Calcio e politica, lo abbiamo sempre saputo, sono strumentali l’uno all’altra. Mai così come l’altro giorno a Washington D.C. Nemmeno Putin è riuscito a tanto.

Fortuna vuole che tutto sia stato ampiamente documentato, YouTube offre persino la possibilità di leggere istante per istante la performance trumpiana, a lato delle immagini che sono già loro assai eloquenti: palese l’imbarazzo dei giocatori, due italiani, due americani, un serbo e un olandese, più Chiellini, accompagnati da John Elkann, il proprietario della Juventus, e da Gianni Infantino, l’audace e furbo capo della Fifa che ha organizzato negli Stati Uniti il Mondiale per club: “Abbiamo una grande squadra dietro di noi”, è stata la cortese presentazione del presidente Usa, “la Juventus d’Italia, e un mio amico è il proprietario della squadra. E’ un fantastico uomo d’affari, un ragazzo giovane, e penso che abbia la più lunga serie di proprietà di quasi tutti i franchising sportivi, ma ha il record nel calcio. E’ John Elkann. Un uomo che ha fatto un lavoro fantastico nell’industria automobilistica, proviene da una stirpe di vincitori (winners, parola magica per Trump, nda)”.

Nessun ufficio stampa, tantomeno il più scafato dei promoter, avrebbe osato un simile elogio del padrone. La nostra premier millanta d’essere “centrale” nelle mediazioni del G7, il che è palesemente falso, mentre Elkann di certo lo è nel mondo degli affari, e può vantare un ottimo rapporto con l’attuale potere americano…

Il siparietto Juventus alla Casa Bianca resterà un evento memorabile per la società torinese, un picco irraggiungibile in serie A, grazie alla spalmata di complimenti erogati dallo scaltro Trump che ha dimostrato di essersi perlomeno documentato, quando ha chiesto dove fossero i “due grandi giocatori americani”, anzi, “i miei”. Si volta, li cerca. Li individua: “Sono qui. Sono fantastici, quindi buona fortuna. Spero che sarete i due migliori giocatori in campo”. Già. La Juventus di lì a poche ore avrebbe affrontato e travolto l’Al Ain per 5-0 nel minuscolo stadio Audi Field di Washington, ventimila posti ma rimasto semivuoto fino al calcio d’inizio per riempirsi al fischio d’inizio dall’arbitro Tori Penso, un’energica donna di 38 anni che ha guidato la terna arbitrale tutta femminile (e tutta stellestrisce), senza mai commettere errori. Forse Trump lo sapeva?

Di certo, Donald ha portato rispetto verso l’Al Ain non fosse perché squadra degli Emirati, dunque “forte, beh, spendono un sacco di soldi…pagano un sacco di soldi, sì. Questo è il problema… E’ una squadra forte, una buona squadra stasera? Tutte le squadre sono buone. Sono le migliori squadre del mondo che sono qui in America. Giusto, Johnny, cosa ne pensi? Tutte le squadre del mondo sono qui…”. America First, insomma. Quanto alla terna arbitrale femminile, probabilmente questo dettaglio deve averlo indotto a stuzzicare i calciatori bianconeri sul minato territorio della partecipazione delle donne (e delle persone transgender) nel mondo dello sport: allora, ragazzi, può giocare una donna nella vostra squadra, lo potrebbe fare?

I sei juventini si sono ben guardati dal rispondere, a cavarli dall’impiccio ci ha provato il neo direttore generale Damien Comolli, un fidato dirigente elkanniano, “Abbiamo un’ottima squadra femminile, la Juventus Women, è molto forte”, ha infatti appena vinto il sesto scudetto, ma Trump non abbozza, e lo prende in giro scatenando l’ilarità dei giornalisti opportunamente convocati per la sceneggiata, “vedete, sono molto diplomatici…”.

Ed ecco che si rivolge ai cronisti, avete domande? Ovvio che si aspetti qualcosa sul conflitto in corso tra Tel Aviv e Teheran, mica sulla Juventus che è solo il fondale provvisorio dello Studio Ovale. Infatti, ecco la prescelta dal presidente che chiede: “Signor Presidente, sull’Iran, se il cambio di regime avviene, se il regime cade, ha un piano per quello che pensa che accadrebbe?”. Imboccato, Trump assapora il boccone e risponde, mentre gli juventini restano ad occhi spalancati, increduli d’essere testimoni di un così imprevisto e imprevedibile incontro con l’uomo più potente del mondo. Come confesserà più tardi Timothy Wheah, il giovane talento Usa, terzino di spinta che però non si spinge oltre l’ammissione della sorpresa: “Essere alla Casa Bianca, come prima volta, è sempre meraviglioso, ma non sono uno che si occupa di politica, quindi è stato un po’ strano. L’abbiamo peraltro saputo all’ultimo momento che saremmo stati ricevuti dal presidente”. Uno che ribalta copioni e tradizioni ad ogni momento…

“Ho un piano per tutto – replica alla domanda sull’eventuale caduta del regime iraniano sfoggiando la solita e ormai proverbiale immodestia – ma vedremo cosa succede. Abbiamo una strada da percorrere. Avrebbero dovuto fare l’accordo. Ho fatto un ottimo affare per loro. Avrebbero dovuto fare quell’accordo” (sottinteso: quello che io ho proposto), “ne abbiamo parlato per sessanta giorni e alla fine hanno deciso di non farlo, e ora vorrebbero averlo fatto. E vogliono incontrarsi, ma è un po’ tardi per incontrarsi, ma vogliono incontrarsi e vogliono venire alla Casa Bianca. Saranno anche alla Casa Bianca, quindi vedremo. Ma è un peccato. Avrebbe potuto essere fatto nel modo più semplice”.

Elkann ed Infantino si scambiano un fugace sguardo. Il centravanti Dusan Vlahovic, impassibile, scruta i giornalisti come fossero terzini avversari. Nuova domanda: “Pensa che il regime potrebbe cadere?”
“Certo”
“Potrebbe succedere di tutto, giusto?”
“Di quello? Certo, potrebbe succedere. Sì”.

Dalla guerra alle beghe con la presidenza Biden, giacché nel mondo repubblicano più vicino a Trump circola ora una narrazione molto squallida, ossia che Biden fosse incapace di governare realmente e che lo facessero altri al posto suo. Tant’è che è in atto un’audizione da parte della commissione giudiziaria del Senato su chi stesse esattamente gestendo la Casa Bianca sotto Joe Biden: “Penso che sia uno dei più grandi scandali della storia di questo Paese…”. Secondo Trump, Biden “non è mai stato per i confini aperti dove le persone sono arrivate da tutto il mondo, da prigioni e bande di spacciatori e tutto il resto, anche da persone mentalmente instabili. Non è mai stato per quello”. Così come non “è mai stato per transgender per tutti o per gli uomini che praticano sport femminili”. E’ il momento in cui pone la fatidica domanda ai “ragazzi” juventini: “Una donna potrebbe fare parte della tua squadra? Dimmi?”, si rivolge a McKennie, “sii gentile, cosa ne pensi? Pensi che una donna potrebbe far parte della squadra?”. Smarrimento negli occhi dei calciatori. Immagino che la scena diventerà virale.

Ma la Juventus torna nell’angolino. Incalzano ben altre domande, dopo la risata collettiva sulla diplomazia esibita dai bianconeri. Proprio la diplomazia è al centro di un’interrogazione: “Presidente, l’ho sentita prendere una decisione sull’Iran. Ovviamente, se c’è stato un cambiamento in cui stava perseguendo una trattativa diplomatica, ora sembra molto aperto all’idea di intraprendere potenzialmente un’azione statunitense. Ovvio che non ce lo rivelerà. Può guidarci attraverso ciò che ha contribuito a quel cambiamento e a come è arrivato a prendere una decisione ora?”.
“Beh, penso che sia iniziato la prima notte. La prima notte è stata devastante. Serata devastante, il giorno praticamente è andato avanti in quel modo. Ho una riunione a breve, nella war room, la situation room come la chiamano alcuni. Vedremo. Siamo nel bel mezzo. E’ una cosa terribile. Odio vederlo. Odio vedere tutta quella morte, tanta morte e distruzione, ma la morte è principalmente ciò che odio”.

Immobili come convitati di pietra, gli juventini capiscono solo di essere nel posto giusto ma nel momento sbagliato. Perché nessuno se li fila. Giustamente le priorità sono altre. Qui si intrecciano e si disfano i destini del mondo, non quelli del calcio. La cravatta gialla di Trump è come la bandiera che ai tempi della peste si agitava nei porti. Un giornalista non si fa incantare dalle parole ad effetto di Trump sulla morte e la distruzione, magari paragona l’atteggiamento di adesso a quello su Gaza e gli sventurati palestinesi, e va sul sodo: “Significa che non ha ancora preso una decisione?”.
“Ho idee su cosa fare, ma non ne ho una finale. Mi piace prendere la decisione finale un secondo prima che sia dovuta, perché le cose cambiano” (dimentica di precisare ‘in fretta’…). Precisa: “Soprattutto con la guerra, le cose cambiano con la guerra. Può andare da un estremo all’altro. La guerra è molto brutta. Non c’era motivo per cui questa fosse una guerra. Molte guerre non avevano motivo…”.

Trump finge che l’interlocutore abbia sollevato lo sguardo: “Tu guardi proprio lassù”. Indica un quadro. La dichiarazione di indipendenza. Astutata: “Mi chiedo se la Guerra Civile, mi è sempre sembrato, forse avrebbe potuto essere risolta senza predere più di 600mila persone. Quindi, un sacco di… E’ molto triste. E’ molto triste vedere cosa sta succedendo”. Pausa. “Ma detto questo, direi che in questo momento, Israele, dal punto di vista della vittoria di una guerra, sta andando abbastanza bene”. Ha svelato le carte.

“Presidente, nella sua riunione di oggi col capo di stato maggiore del Pakistan, ha parlato dell’Iran?”
“Beh, conoscono molto bene l’Iran. Meglio della maggior parte. E non sono contenti di niente. Non è che siano cattivi con Israele. In realtà li conoscono entrambi. Ma probabilmente conoscono meglio l’Iran. Ma vedono cosa sta succedendo. Ed è d’accordo con me. Il motivo per cui l’ho invitato è che volevo ringraziarlo per non essere andato in guerra. Solo, sai, porre fine alla guerra. E voglio ringraziare il primo ministro Modi, che se n’è appena andato” (In realtà, lo dirà dopo, era stato a Washington qualche settimana prima, nda). “Stiamo lavorando ad un accordo commerciale con l’India. Stiamo lavorando a un accordo commerciale con il Pakistan”. Stima i dirigenti dei due Paesi, “intelligenti che hanno capito di non andare avanti con quella guerra” (si riferisce agli scontri di un mese fa tra India e Pakistan, nda), “avrebbe potuto essere una guerra nucleare. Quelle sono due potenze nucleari. Quelle grandi”.

Igor Tudor, l’allenatore croato della Juventus, è sulle spine, non si aspettava che l’invito alla Casa Bianca si sarebbe trasformato in un happening di politica globale, una sorta di Risiko maledettamente reale. Pure i due giocatori italiani, Manuel Locatelli e Federico Gatti, capiscono che le priorità della situazione internazionale travalicano quelle del Mondiale, e che la loro presenza è a dir poco stravagante. Per loro fortuna, c’è chi viene in soccorso, con una domanda trasversale. I divieti dell’immigrazione. L’affluenza degli spettatori dall’estero per il Mondiale. Preoccupazioni che Infantino, sollecitato da Trump, scaccia. La parentesi pallonara è subito mandata in fuorigioco. Si ritorna in contropiede all’Iran. Al rischio che gli Stati Uniti vengano coinvolti in un altro conflitto nel Medio Oriente e delle possibili ritorsioni terroristiche in America. Trump conviene sul fatto che non vuole essere “coinvolto. Ma ho detto per venti anni, forse più a lungo, che l’Iran non può avere un’arma nucleare. Lo dico da molto tempo. E penso che fossero a poche settimane dall’averne una”. Teme che se l’avessero la utilizzerebbero: dunque, “non possono avere un’arma nucleare”. Chiaro?

Chiudo qui la cronaca di una giornata di sport-non-sport. La Juve, tornata al suo destino, si è presentata sul campo… agguerrita. La “linea rossa” tanto evocata da Trump si è concretizzata in una “manina” severa, quel 5-0 che è parsa esibizione di forza e superiorità tecnica, il mix tanto apprezzato dal movimento Maga che in America permea l’onnipotenza di molti campionati, dal basket al baseball, al football che sublima nel Super Bowl il patriottismo americano, poiché ne concentra i temi dell’identità nazionale, della storia e dei valori “made in Usa”, a cominciare dall’esecuzione dell’inno, col pubblico che si alza in piedi, porta la mano sul cuore e lo intona con grandissima carica emotiva.

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