Jonathan Powell, il “negoziatore” al fianco di Starmer per il dialogo con Trump e Zelensky: l’accordo con l’Ira e la guerra in Iraq con Blair

  • Postato il 14 marzo 2025
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Nella delegazione diplomatica, per lo più di funzionari europei, che oggi a Washington DC incontrerà il consigliere per la sicurezza nazionale Usa Mike Waltz, per discutere il cessate il fuoco in Ucraina, spicca il fuoriclasse Jonathan Powell, omologo di Waltz per il Regno Unito.

Il dossier Ucraina e il filo con Trump – Powell, 68 anni, era nello Studio Ovale durante la visita del Primo Ministro Keir Starmer a Trump: una presenza passata quasi inosservata, ma cruciale per la riuscita di quella visita. Grazie a quell’esito positivo, Starmer si è potuto accreditare credibilmente come pontiere non solo fra Usa e Ue, ma anche fra Kiev e Mosca. Secondo diversi retroscena, è a lui se si deve l’immediata reazione di Sir Keir all’indomani della brutale rottura fra Zelensky e Trump nello studio ovale: seguendo i consigli di Powell, il primo ministro britannico si sarebbe immediatamente attivato per ricucire il rapporto, chiamando Washington e Kiev e fungendo da mediatore.

Lo scorso fine settimana Powell era a Kiev, dove ha lavorato alla proposta di cessate il fuoco con Zelensky, in coordinamento con Waltz e alcune cancellerie europee. In una recente intervista a Politico Powell ha detto: “La palla è ora nel campo di Putin. Abbiamo creato un quadro, ma spetta alla Russia impegnarsi.” Di lui si conosce la ferma convinzione che la “relazione speciale” fra Usa e Regno Unito vada coltivata ad ogni costo, chiunque sieda alla Casa Bianca: un approccio non antagonistico che ha contribuito a rilanciare il soft power di Londra, e anche la sua credibilità di leader della Coalizione di volonterosi prevalentemente europea, benché il Regno Unito sia uscito dall’Ue con Brexit.

Il curriculum: ex braccio destro di Blair – Powell è un veterano di dossier complessi. Educato all’University College di Oxford e all’Università della Pennsylvania, dove ha studiato storia, è entrato nel Foreign Office nel 1979. I suoi incarichi diplomatici includono Lisbona e Washington, D.C., dove ha ricoperto il ruolo di segretario politico e ha seguito la campagna presidenziale di Bill Clinton nel 1991, espandendo un network di relazioni che si sono rivelate preziose in seguito, fra cui quella con Peter Mandelson, allora braccio destro del leader laburista Tony Blair. È proprio con Blair che inizia la grande ascesa di Powell, che nel 1995 lascia il Foreign Office per diventare Capo di Gabinetto del primo ministro laburista, dal 1997 al 2007, cioè per l’intero mandato. È il principale negoziatore britannico dell’Accordo del Venerdì Santo del 1998, che hanno concluso decenni di guerra civile in Irlanda del Nord. Ma ha anche consigliato Blair sugli interventi disastrosi in Iraq e Afghanistan, finendo al centro di parecchie controversie.

L’accordo con l’Ira È da quella complessa trattativa che matura il suo approccio distintivo, la convinzione che la pace richieda il dialogo con gli avversari. Lo chiarisce nel suo libro del 2014, Talking to Terrorists: How to End Armed Conflicts (Parlare con i terroristi: come porre fine ai conflitti armati). Il contributo di Powell alla fine dei Troubles, se ne deduce, non è stato solo logistico ma anche ideologico; sosteneva che coinvolgere l’IRA fosse essenziale per garantire un accordo bilanciato e quindi duraturo. Approccio criticato, visto che ha portato ad interloquire anche con formazioni paramilitari: ma Powell è descritto come un pragmatico che comprende la necessità di tenere conto degli aspetti personali ed emotivi in ogni negoziato.

Già inviato speciale in Libia, ora la la guerra in Ucraina – Dopo aver lasciato il governo Blair ha guidato Inter Mediate, un’organizzazione benefica focalizzata sui conflitti armati globali, ed è stato inviato speciale del Regno Unito in Libia nel 2014. Nel novembre 2024, Powell è stato nominato Consigliere per la Sicurezza Nazionale, proprio su segnalazione di Peter Mandelson, oggi ambasciatore britannico a Washington.

Sui possibili esiti della conflitto si era espresso già in un articolo del gennaio 2023 su Prospect Magazine, scritto come Ceo di Inter Mediate. Sosteneva che non fosse ancora il momento per negoziati, perché “sia l’Ucraina che la Russia pensano ancora di poter raggiungere i loro obiettivi militarmente,” con l’Ucraina intenzionata a riconquistare territori e Putin a non cedere le conquiste”.

Ma aveva anche scritto che alla fine Putin sarebbe stato incline a un negoziato e ne aveva indicato le linee guida: qualsiasi accordo di pace non può essere imposto all’Ucraina perché sono loro a combattere e ad avere “il diritto di decidere quando negoziare e quali concessioni fare”. La sua soluzione era, quindi, diplomatica, ma subordinata a garanzie di sicurezza internazionali per “dissuadere la Russia dall’invadere nuovamente”. Nella consapevolezza che “la Russia continuerà ad esistere come vicina dell’Ucraina, e con molte più truppe”.

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Il Fatto Quotidiano

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