Iracheno stupra le malate nel letto dell’ospedale. I giudici non lo condannano

  • Postato il 17 aprile 2025
  • Di Panorama
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Dal lettino nel corridoio del reparto dell’ospedale Molinette di Torino, dove si curano disturbi alimentari e dove la maggior parte delle pazienti sono donne, un fotografo iracheno di 36 anni ricoverato con un generico disturbo d’ansia legato a crisi di panico, in piena notte si alza, entra in una stanza, blocca la porta con un tavolo, mette fuori uso il campanello d’allarme e dopo aver strappato il catetere vescicale di una trentaseienne la violenta selvaggiamente. La poveretta urla, nessun infermiere accorre, l’uomo scappa nella stanza accanto e cerca di aggredire un’altra paziente anoressica ma per fortuna lì il campanello funziona e scatta l’allarme.

A distanza di un anno, il fotografo iracheno arrivato nel 2017 a Torino come richiedente asilo politico è stato assolto perché secondo il giudice era «totalmente incapace di intendere e di volere al momento delle condotte». Adesso è in libertà vigilata. Dobbiamo restare con il fiato sospeso, aspettando un nuovo raptus psicotico ai danni di qualche altra donna?

La dinamica dell’accaduto

La vicenda e la crudezza dei particolari lasciano pochi dubbi sull’approssimazione con cui i tribunali a volte accettano le perizie, senza approfondire dinamiche e comportamenti inspiegabili. Era la mattina del 25 marzo del 2024 quando l’uomo si presenta al pronto soccorso del presidio che fa parte dell’Azienda ospedaliero-universitaria Città della salute e della scienza di Torino. Forse si trovava in preda di un mix di cannabis e alcol.

Fino alle nove di sera l’iracheno è sottoposto ad accertamenti, poi viene ricoverato nel piccolo reparto accanto a quello della psichiatria universitaria e dove vengono trattati disturbi alimentari quali l’anoressia nervosa. Lo lasciano nel corridoio, s’addormenta sulla barella ma tre ore dopo si sveglia. «Entra nella camera che aveva di fronte e dove c’era la mia assistita che stava malissimo, con forti disturbi alimentari», racconta l’avvocato Elena Negri che difende la donna stuprata.

L’uomo sposta un tavolo davanti alla porta perché nessuno entri, mette fuori uso il campanello, strappa alla giovane il catetere vescicale e la violenta con brutalità. «Una cosa tremenda. Considerando la dinamica, difficile pensare che non sapesse quello che stava facendo», commenta il legale. La donna urla ma nessuno sembra sentirla, i due infermieri della notte sono nel locale caffè in fondo al corridoio.

Il fotografo scappa dalla stanza, entra in quella accanto dove sono ricoverate due donne e cerca di assalirne una. La palpeggia, i pantaloni di nuovo calati pronto a ripetere la violenza, poi il campanello finalmente funziona e il personale arriva. L’uomo viene spostato in psichiatria centrale (allora il posto c’era!), dove rimane un mese fino a quando non viene incarcerato alle Vallette.

La perizia psichiatrica

Nella perizia disposta dal giudice per le indagini preliminari, lo scorso luglio gli psichiatri Franco Freilone e Maurizio Desana dichiarano che l’iracheno era socialmente pericoloso, ma che al momento delle violenze commesse era incapace di intendere e di volere. In via cautelare viene trasferito in una Rems, residenza per gli autori di reato affetti da disturbi mentali e socialmente pericolosi, però da questa può anche uscire «con permesso del giudice per andare alla presentazione di un suo libro di fotografie», precisa Negri. Due giorni fa è arrivata la sentenza di assoluzione.

Il legale, che ha rifiutato il rito abbreviato per non dover accettare come definitiva l’assoluzione dell’imputato, rimane con forti dubbi. «Il nostro codice prevede di non doversi procedere quando c’è incapacità di intendere e di volere, ma in questo caso non si capisce perché è stata accolta una perizia che aveva dei limiti e dei mancati approfondimenti, da me inutilmente richiesti anche se c’era il tempo per poterli fare».

Spiega meglio: «La perizia fa riferimento a una possibile schizofrenia o disturbo schizofreniforme, quindi contrasta con la diagnosi fatta al momento del ricovero, ovvero psicosi non specificata. Persona un po’ disturbata per uso di cannabis e alcol». Al pronto soccorso era stato valutato addirittura «vigile, cosciente e collaborativo».

Se era schizofrenico, perché non se ne sono accorti quelli che l’avevano visitato a lungo e poi l’hanno ricoverato nel reparto sbagliato, non nella psichiatria centrale e con la grave negligenza di non allertare gli infermieri?

Si chiede l’avvocato: «Ha senso questa incapacità di intendere e di volere limitata al momento delle violenze commesse, posto che prima l’uomo era una persona totalmente capace e lo era anche poco dopo?». Aggiunge: «Si doveva approfondire il consumo di cannabinoidi dell’iracheno, perché chi si mette volontariamente nelle situazioni di alterazione poi risponde delle proprie azioni, anzi è un aggravante».

La sua giovane assistita, già con gravi problemi di anoressia, per molti mesi è rimasta traumatizzata dall’abuso sessuale. Di certo, né lei né ogni altra donna si sentirà tranquilla a sapere che l’iracheno è in libertà vigilata, seppure con un percorso terapeutico. Troppi sono gli episodi di violenza che la cronaca registra.

Due giorni fa, uno straniero di 17 anni ha violentato una signora di 65 anni intenta a fare jogging in una frazione della provincia di Modena. Era in bicicletta, l’ha avvicinata, trascinata in un fossato e anche picchiata perché non urlasse. Il giovane era ospite di una comunità per minori non accompagnati. Sempre che non si tratti di un adulto, che ha mentito sulla vera età per entrare nel programma specifico di accoglienza.

Autore
Panorama

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