“Io orfano di femminicidio invisibile per anni. L’Italia ora ci riconosce ma non basta, non sa neanche quanti siamo”. La storia di Giuseppe Delmonte
- Postato il 24 novembre 2025
- Diritti
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Noi eravamo orfani invisibili, non venivamo considerati dall’istituzione né tantomeno dalla società perché nessuno si poneva il problema che quando muore una donna potrebbero esserci dei bambini”. Giuseppe Delmonte è un orfano di femminicidio. Aveva 19 anni quando sua madre, Olga Granà, venne uccisa a colpi d’ascia dal padre, che ora si trova in carcere. Era il 1997, la legge sugli orfani di femminicidio sarebbe arrivata soltanto 21 anni dopo.
“Dopo aver ucciso mia madre, mio padre ha acquisito tutta una serie di diritti che noi vittime collaterali non avevamo” racconta Delmonte al Fatto.it facendo alcuni esempi. “Mio padre la settimana dopo ha avuto lo psicologo e ce l’ha da 28 anni gratis, io il primo psicologo l’ho visto dopo 20 anni perché me lo sono pagato io, ha avuto la possibilità di studiare e ha studiato, a me questa possibilità è stata tolta perché il mio sogno era quello di fare medicina e a 19 anni non ho più potuto avere questa possibilità né economica e tanto meno psicologica per affrontare un ciclo di studi così lungo. Mio padre ha avuto la possibilità di chiedere la grazia al Presidente della Repubblica per il suo ergastolo, ma per il mio che è quello del dolore non potrò mai chiedere niente a nessuno”.
Dopo anni di silenzio, Delmonte ha iniziato a girare l’Italia per raccontare in pubblico la sua storia. E l’anno scorso ha fondato l’associazione Olga (Oltre la Grande Assenza) per aiutare e stare vicino “alle persone di ogni genere ed età, che abbiano subito qualsiasi tipo di maltrattamento, violenza, abuso o aggressione fisica o psicologica”. In particolare agli orfani di femminicidio, grazie anche a delle borse di studio che integrano le tutele offerte dalla legge. Dal 2018, l’Italia ha riconosciuto la figura degli orfani di femminicidio tutelandoli sia da un punto di vista processuale sia economico. “Siamo l’unico Stato in Europa ad avere una legge sull’orfano di femminicidio, – osserva Delmonte – è sicuramente una legge apripista ma non è sufficiente perché è stata fatta secondo me in maniera un po’ superficiale, perché come dico io non puoi fare una legge sull’orfano di femminicidio senza sapere neanche quanti sono”. Ad oggi infatti non esistono dati ufficiali sul numero degli orfani di femminicidio.
La sfida dell’associazione Olga è soprattutto sul piano educativo e culturale. Una consapevolezza che nasce dalla storia del suo presidente, Delmonte. “Col tempo ho scoperto che molte persone sapevano quello che succedeva nella nostra casa, lo sapeva il prete, lo sapeva il medico di famiglia perché trovava i lividi addosso a mia madre, lo sapeva il ginecologo, lo sapevano i vicini di casa perché sentivano le urla, però mai nessuno ha fatto qualcosa affinché questa catena si potesse interrompere” racconta Delmonte sottolineando la necessità di “non girarsi dall’altra parte perché l’indifferenza uccide”. L’educazione al rispetto però non può essere affidata esclusivamente alle famiglie. Il motivo? “L’87% delle violenze minorili avviene all’interno della stretta cerchia familiare e dunque è fondamentale che questo ruolo sia svolto dalla scuola perché comunque la maggior parte del tempo dei bambini e degli adolescenti viene trascorso all’interno della scuola e quindi credo molto in questo patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia”.
Sul piano legislativo e repressivo, l’inasprimento delle pene e la certezza della pena “sicuramente serve per le vittime collaterali nel senso che riesce sicuramente a alleggerire un po’ il dolore che si è subito in seguito a quel reato , ma non è sicuramente la soluzione perché un uomo che vuole uccidere una donna, se sa che ha l’ergastolo piuttosto che 20 anni o poco meno lo fa comunque e quindi non è la soluzione al problema”.
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