Inferno Beccaria, indagati per omessa denuncia anche don Gino Rigoldi e don Claudio Burgio
- Postato il 23 ottobre 2025
- Giustizia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Dopo gli ex direttori indagati, nel registro degli indagati per le torture commesse nel carcere minorile di Milano “Beccaria” sono stati iscritti anche il cappellano e l’ex cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano. Don Gino Rigoldi, per mezzo secolo cappellano dell’istituto per minorenni e il successore, don Claudio Burgio, sono nell’elenco dei 51 indagati della maxi inchiesta: il reato ipotizzato – come riporta Repubblica – è omessa denuncia. Ad agosto gli indagati erano 42. Nell’aprile del 2024 13 agenti della Polizia penitenziaria erano stati arrestati e per ordine del gip erano stati sospesi.
L’accusa
I due sarebbero stati “consapevoli delle violenze, si legge nell’informativa di 900 pagine della Squadra mobile agli atti del fascicolo delle pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena. Al centro delle indagini, tortura e botte sui detenuti: sono 33 i ragazzi che la procura vuole sentire davanti a un giudice, per cristallizzare i loro racconti. Tra gli indagati ci sono gli agenti accusati dei pestaggi ma apounto anche ex direttrici del Beccaria, l’ex comandante, medici e infermieri che avrebbero visto, taciuto o coperto gli abusi. Nell’elenco anche i nomi omissati dei due sacerdoti, così come nascoste sono dieci pagine dell’informativa, segno che gli approfondimenti sono in corso”. Sentiti a verbale i due sacerdoti avevano riferito di non essersi resi conto delle violenze perpetrate dagli agenti della polizia penitenziaria sui minori detenuti.
Le indagini
Non episodi, ma violenze continue, crudeli, disumane e degradanti quelle accertate dagli inquirenti. Ed è per questo che era stato riconosciuto il reato di tortura dalla giudice per le indagini preliminari, Stefania Donadeo. La pratica “reiterata e sistematica, se pur ai danni di diversi minorenni, delle violenze inflitte ha determinato un clima generale di paura, di umiliazione, di vessazione ed anche di indifferenza nei confronti dei bisogni primari dei detenuti minorenni. Minorenni costretti a volte a subire i pestaggi, a volte ad assistere a quelli del compagno di cella, a volte ad udire urla di dolore. Ciò ha creato un clima infernale lontano dalla promessa costituzionale della funzione rieducativa della pena” aveva scritto la giudice nel provvedimento. Durante gli interrogatori i poliziotti avevano sostenuto di essere stati “soli” a gestire e di essere stati “incapaci” di gestire le situazioni in un ruolo così delicati come un carcere minorile. Ma le intercettazioni, i video, le testimonianze riportavano un quadro di consapevolezza assoluta della gravità delle azioni come quella conversazione in cui uno degli indagati diceva che le “mazzate erano state tante e brutte”.
Le reazioni
“È vergognoso il quadro di violenze sistemiche ai danni dei ragazzi detenuti, che emerge dalle pagine dell’inchiesta sull’Ipm Beccaria, di cui oggi La Repubblica ha riportato alcuni stralci. Situazioni che avevamo denunciato con un nostro esposto. Quando la tortura è sistemica deve interrogare direttamente le istituzioni. Non è questione di mele marce, di singoli, ma di piano programmato e sistematico di violenze brutali. Antigone si impegnerà con tutte le proprie energie in questo procedimento (e negli altri collegati ai fatti in oggetto). Un procedimento ancora più drammatico in quanto coinvolge ragazzini che le istituzioni dovrebbero proteggere. Vorremmo che nelle istituzioni tutti si indignassero come siamo indignati noi e che il governo si costituisca parte civile” dichiara dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.
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