“In manicomio fu un viaggio all’inferno. I malati legati venivano cambiati a fine turno degli infermieri. Un odore di disumanità”: lo rivela Vittorino Andreoli

  • Postato il 14 marzo 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Vittorino Andreoli è un medico, psichiatra e neurofarmacologo e in una intervista a La Stampa ha ricordato il momento esatto in cui ha messo piede in un manicomio. Non una esperienza da ricordare, anzi da rimuovere.

“Dopo il Liceo andai ad ascoltare la conferenza di Cherubino Trabucchi, il direttore del manicomio di San Giacomo della Tomba. – ha raccontato – Lo avvicinai: ‘Senta Professore, vorrei fare lo psichiatra ma non ho mai visto i malati’. E lui: ‘Domattina alle 8 l’aspetto davanti al manicomio’ Andai”.

Da lì l’esperienza brutale e surreale: “Fu un viaggio all’inferno. Attraversammo i cinque padiglioni maschili e poi i cinque femminili. Nell’ultimo, i malati erano tutti legati e venivano cambiati solo quando finiva il turno degli infermieri. E poi quell’odore di disumanità… Uscendo dall’istituto, Trabucchi mi disse: ‘Immagino avrà cambiato idea’. Risposi: ‘Veramente ciò che ho visto mi fa pensare che posso fare qualcosa’”.

E da quel momento partì la missione di Andreoli: “La ricerca che avevo sperimentato ad Harvard non aveva confronti con quella italiana. ‘D’ora in avanti, mi dissi, studierò il cervello delle persone’. Disposi che nessuno dovesse legare i pazienti: in caso di necessità, avrei garantito che sarei arrivato entro dieci minuti e saremmo intervenuti coi farmaci o gli infermieri”.

Poi l’aneddoto: “Una mattina, la caposala, suor Pienza, mi venne incontro agitatissima: un malato considerato pericoloso era stato rinchiuso in una stanza. Stava spaccando tutto, c’era un rumore infernale, trovai medici e infermieri davanti alla porta che per sicurezza era stata chiusa dall’esterno”.

Quindi il dottore ha chiesto di aprire la porta: “La stanza era distrutta, il lavandino divelto. Decisi allora di scagliare anch’io ciò che mi trovavo davanti, devo ammettere non senza una certa soddisfazione. E a quel punto il malato si fermò. Quello stesso giorno feci recuperare tutti i mezzi di contenzione, li accatastammo nel giardino e li bruciammo in un falò. Fu una giornata stupenda”.

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Il Fatto Quotidiano

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