In Germania anche l’azienda che fa trattori si converte alle armi. “Operai contrari, ma garantisce occupazione”

  • Postato il 19 agosto 2025
  • Mondo
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

Il bilancio del governo tedesco dopo i primi cento giorni è incerto; per il cancelliere Friedrich Merz il bicchiere è pieno per tre quarti, per la stampa tedesca vuoto a metà. Grande incertezza resta soprattutto il buco di bilancio. Con la ripresa economica che tarda a deflagrare, il settore automobilistico in crisi cerca di trarre ossigeno da commesse militari. L’esempio più pregnante è quello della Deutz AG di Colonia, forse il più antico produttore di motori con oltre 160 anni di attività dedicati soprattutto alla motorizzazione di trattori, mietitrebbia e macchine edili. L’azienda era già attiva nel settore della difesa da decenni, ma solo su piccola scala, meno del due percento del fatturato. L’amministratore delegato Sebastian Schulte ha preso però il timone della società il 13 febbraio 2022, appena undici giorni prima dell’invasione russa dell’Ucraina, e cogliendo il cambiamento punta a portare nell’arco dei prossimi anni la quota produttiva diretta alle forze armate dal cinque al dieci percento.

È una sfida non da poco passare dal progetto di un motore per una locomotiva ad uno per un obice; in ambito militare entrano in gioco standard di robustezza alle sollecitazioni ed alle variazioni di temperature molto maggiori, mentre l’alimentazione è a cherosene. Se per gli ingegneri le sfide progettuali sono stimolanti, non tutti i 5mila dipendenti dell’azienda inizialmente erano d’accordo col nuovo corso di diventare fabbri d’armi, ha spiegato Schulte alla Ard, ma il settore delle macchine edili dipende fortemente dall’economia globale, invece l’industria della difesa promette ordini a lungo termine e dà garanzie occupazionali, allargando la fascia di mercato.

Non è il solo esempio, “la tecnologia della difesa rappresenta una piccola parte della nostra divisione Tecnologia industriale, circa lo 0,3 percento delle vendite totali” ha dichiarato un portavoce del colosso ZF Friedrichshafen AG alla Swr a marzo sottolineando però che, “a causa dell’evoluzione della situazione geopolitica… stiamo riscontrando una crescente domanda di prodotti per la tecnologia della difesa, alla quale stiamo adattando le nostre capacità”. Anche se – aggiungeva – “al momento non è prevista un’espansione strategica di questo settore di attività”, ZF è tra membri dell’Associazione federale delle industrie tedesche per la sicurezza e la difesa. D’altronde era già produttrice originariamente – come Zahnradfabrik GmbH – di ingranaggi e trasmissioni per aeromobili.

La stagnazione globale della produzione di veicoli, la lenta accelerazione dell’elettrico e l’incertezza causata dai dazi Usa hanno comportato un calo delle vendite e un aumento dei costi, ha dichiarato l’amministratore delegato Holger Klein nella presentazione dei dati finanziari del primo semestre del 2025 – e ZF nei prossimi tre anni taglierà fino a 14mila posti di lavoro. Alcuni dei suoi meccanici sono già “emigrati” direttamente ad altre aziende, come la Rolls-Royce Power Systems dove da anni si producono motori per veicoli militari.

Klaus-Heiner Röhl, dell’Istituto di economia tedesca (considerato vicino ai datori di lavoro) ritiene che il potenziale economico complessivo del boom degli armamenti sia però limitato. “L’industria automobilistica è circa dieci volte più grande dell’industria bellica”, ha osservato parlando alla tv Ard, e l’aumento di commesse dal settore Difesa non può compensare completamente il calo degli ordini dal settore automobilistico. Uno studio, commissionato dall’Associazione dei produttori di automobili, stima che entro il 2035 un posto di lavoro su cinque nell’industria dell’auto, ovvero circa 140mila, potrebbe andare perso. Helene Sommer del sindacato IG Metall, già in marzo dichiarava apertamente a ZdF, “ciò che si sta creando nell’industria della difesa non sarà nemmeno lontanamente sufficiente a compensare questi tagli di posti di lavoro”.

Lo conferma anche uno studio degli economisti Tom Krebs e Patrick Kaczmarczyk dalla cattedra di Macroeconomia e Politica Economica dell’Università di Mannheim. Il cosiddetto moltiplicatore fiscale, l’entità dell’aumento al prodotto interno lordo indotto dalla spesa pubblica nella spesa militare – affermano – è pari al massimo a 0,5. Nella migliore delle ipotesi, ogni euro speso genera 50 centesimi di attività economica aggiuntiva. Moltiplicatori significativamente più elevati -sostengono – vengono conseguiti dagli investimenti pubblici in istruzione, infrastrutture o assistenza all’infanzia, che generano un valore aggiunto aggiuntivo da due a tre volte superiore. Concludendo che “la pianificata militarizzazione dell’economia tedesca è una scommessa rischiosa con scarsi rendimenti economici complessivi”.

Per le singole aziende il settore della difesa può però rivelarsi redditizio garantendo sicurezza nella pianificazione industriale; un contratto a lungo termine con un cliente militare – incuranti dell’anelito biblico “forgeranno le loro spade in vomeri” – assicura oggi la produzione dai prossimi tre a sette anni.

L'articolo In Germania anche l’azienda che fa trattori si converte alle armi. “Operai contrari, ma garantisce occupazione” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti