Impianti sportivi e la città vince
- Postato il 16 giugno 2025
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Il Quotidiano del Sud
Impianti sportivi e la città vince
Impianti sportivi e la città vince: la rivoluzione urbanistica è una caratteristica dei Giochi moderni. Si recuperano le periferie disagiate e aumenta l’investimento sulla salute pubblica
di PIERO MEI A Place de la Concorde, dove rotolarono teste di sovrani e di rivoluzionari, da Maria Antonietta ormai derisa “vedova Capeto” a Robespierre quando non “terrorizzava” più, al posto del palco della ghigliottina saltavano gli skateboard, le bmx e i breakdancer. A Versailles, memori del Re Sole e della Pompadour, si tennero più sulla tradizione: gareggiavano cavalli d’ogni tipo, da quelli ballerini del dréssage agli ultimi equini da pentathlon, giacché l’equitazione è stata tolta dalle cinque discipline delle origini moderne.
Nella Senna hanno potuto tuffarsi i nuotatori in acque libere, grazie al bacino di Austerlitz, una specie di serbatoio sotterraneo e gigantesco (contenitore d’acqua da ripulire ed eventualmente capace di riempire cinquanta piscine olimpiche, quelle lunghe 50 metri, che c’è chi chiama “olimpioniche” come se pure loro avessero vinto una medaglia d’oro). Sono tre cartoline di Parigi 2024, tre immagini di “urbanistica sportiva”. Alla quale si potrebbe accreditare anche il Villaggio Olimpico di Saint Denis, 52 ettari, 82 edifici, 3.000 appartamenti, 7.200 stanze. Un quartiere residenziale destinato ad ospitare, nel dopo Giochi, 2.800 abitazioni, 2000 delle quali per famiglie e 800 per studenti. Novemila alberi e arbusti: è la sostenibilità ambientale. Una banlieue trasformata in meglio. Ecodesign ad ogni angolo.
IMPIANTI SPORTIVI: L’EREDITÀ DI LONDRA 2012 E LA RIVOLUZIONE URBANISTICA NELLA CITTÀ OLIMPICA
Dodici anni prima anche Londra olimpica aveva tentato (tentativo riuscito) una uguale riqualificazione territoriale: era laggiù, nell’East End, nella allora degradata zona di Stratford, che tutto o quasi era stato costruito, pure se anche nel caso inglese luoghi iconici erano stati messi in campo come sede di eventi. Dove passa il meridiano di Greenwich che dà l’ora al mondo passavano cavalli e cavalieri (e amazzoni, naturalmente); dove i turisti di solito infastidiscono le Guardie Reali, all’Horse Guard, si tenne il beach volley, sempre e solo per fare esempi. Ma è stata a Stratford la vera rivoluzione urbanistica: una stazione ferroviaria internazionale, un centro commerciale come porta del paradiso olimpico, un parco interamente dedicato ai Giochi, con i suoi impianti poi da rigenerare e da rendere d’uso quotidiano.
LE OLIMPIADI: UN ACCELERATORE DI SVILUPPO URBANO
Del resto la rivoluzione urbanistica è una caratteristica dei Giochi moderni. Basti pensare a Roma: l’ultimo grande intervento in materia è avvenuto per i Giochi del 1960: anche l’aeroporto di Fiumicino fu un frutto delle Olimpiadi. Ci sarebbe stato ugualmente forse, ma le Olimpiadi hanno un pregio non trascurabile rispetto ad altri progetti per quanto faraonici: le Olimpiadi propongono una scadenza tagliola. Per quel giorno bisogna essere pronti e funzionali, non c’è possibilità di rinvio né c’è tempo diluito, come può essere l’“anno del Giubileo”, che a volte è sembrato come quell’appuntamento che si è abituati a prendere non all’ora precisa ma “verso le…”.
Le Olimpiadi hanno un’ora precisa. I grandi eventi sono un acceleratore: le Olimpiadi sì, basti pensare a Barcellona che per il 1992 scoprì (o ricordò) d’avere il mare e mise mani e progetti sul “porto olimpico” e cambiò totalmente non solo l’urbanistica della città ma la sua stessa filosofia, il suo modo di vivere, il suo modo di presentarsi al mondo e di conquistarlo che gli effetti ancora si registrano in termini di turismo e non solo.
IMPIANTI SPORTIVI, URBANISTICA QUOTIDIANA NELLA CITTÀ E SPORT COME BENE SOCIALE PRIMARIO
Ma dovrebbero essere (e cominciano ad esserlo) le piccole cose, quelle di tutti i giorni, a guidare una urbanistica per dire così quotidiana: bene il Grande Evento, bene le Grandi Trasformazioni. Però le piccole… Ecco, è una urbanistica nuova fatta non solo di strade e di edifici, ma di vivibilità. Ed è qui che un’impiantistica sportiva può (diremmo deve) incidere. È qui che comincia a farsi vedere, con qualche progetto pilota, con il recupero delle periferie disagiate, con il sostegno alle iniziative che portino i ragazzi e le ragazze in mezzo allo sport ma anche lo sport in mezzo ai ragazzi e alle ragazze. Lo sport è un bene sociale primario: insegna le regole, insegna il rispetto, porta l’inclusione. La furbata è una devianza nello sport.
Lo sport è anche un investimento sul futuro della salute pubblica: se investi oggi in sport, investirai meno domani in spesa sanitaria. E allora ecco l’indispensabile urbanizzazione sportiva: le palestre scolastiche (ce n’è ancora? E siamo proprio certi che il quadro svedese di una volta fosse lo sport da far vivere a ragazzini e adolescenti?), gli impianti aperti al pubblico, i parchi attrezzati, che oltre tutto difendono il verde che c’è rimasto, è lì che bisognerebbe agire, e c’è chi ha cominciato a farlo. Il cortile e l’oratorio di antica memoria non ci sono più: non lasciamo che i ragazzi facciano sport soltanto toccando i tasti di uno joystick.