Immaginare il futuro. L’opera d’arte come cura

  • Postato il 19 novembre 2024
  • Arti Visive
  • Di Artribune
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It’s all gone, it’s all gone
Nothing left of all I loved
It all feels wrong
It’s all gone, it’s all gone, it’s all gone
No hopes, no dreams, no world
No, I, I don’t belong
No, I don’t belong here anymore
THE CURE, ENDSONG
(IN SONGS OF A LOST WORLD, 2024)

Immaginare il futuro, nei dettagli e in generale. Vuol dire scrivere la realtà prossima a partire da oggi, dalle condizioni odierne – come fa del resto la buona fantascienza (mentre quella scadente le ignora, come una sorta di fantasy riuscito male). Portare cioè alle estreme conseguenze le circostanze esistenti in questo momento storico – oppure ipotizzare uno scenario diverso. A partire da: l’Evento; la Transizione. Il Passaggio.

Come sarà il mondo del domani secondo la fantascienza

La data: 2066. 32 anni da ora. All’inizio – in questo trentennio prossimo – il contesto peggiora, in modo apparentemente inarrestabile: disuguaglianze economiche, ingiustizie sociali, crisi, povertà, conflitti, guerre. Lo scenario è quello dell’ostinazione nella via della prestazione, della performatività, del profitto a ogni costo, della gratificazione immediata. Crisi ambientale, ecologica, delle risorse materiali e immateriali, perfino dell’immaginario. Lost World: perdita, nostalgia spinta al parossismo – come ricostruzione cioè di cronologie familiari, abitudinarie, di “ambienti storico-temporali confortevoli”. 

Immaginare il futuro: l’evento

Poi, a un certo punto, accade qualcosa – spinta dalla rabbia, dalla frustrazione, dalla disperazione e dalla speranza – che inizia a trasformare questo scenario: l’Evento. (Non è importante ora descriverlo nel dettaglio, dire che cos’è: basta posizionarlo correttamente.) E questo Evento (che, diciamo, ha luogo tra vent’anni circa: 2045) ridefinisce, riarticola – all’inizio impercettibilmente – il quadro di riferimento complessivo. Lo ruota. Cambia le condizioni, e la loro natura. Cambia la situazione politica, sociale, economica, comportamentale, psicologica – artistica e culturale. Dunque, la nostalgia evapora, così come il culto della prestazione, dell’efficienza. Del grande-e-grosso, del successo (al cinema, nella musica, nelle arti visive, nelle professioni, nell’immaginario politico). 
Influenza. Interferenza.

Laura Cionci, State of grace (2020), performance, Melbourne
Laura Cionci, State of grace (2020), performance, Melbourne

Immaginare il futuro: l’inversione del tempo

Ovviamente, questo processo non avviene contemporaneamente dappertutto. Ci sono sacche di resistenza del vecchio, del passato nel futuro-presente, che durano e lottano per vent’anni almeno. Ma dal 2045 al 2066 si assiste alla rinascita/ricostruzione: di che cosa?
Del fragile, dell’amorevole, dell’invisibile, del tenero, dell’imperfetto, dell’incompleto, dell’umile, dell’impermanente, dell’oscuro, dell’abbattuto, del perduto, del buono, del compassionevole, dell’ambientale, dello sfrangiato, dello scartato, del dimenticato.L’Evento è qualcosa che priva improvvisamente della sua forza il potente, ciò che finora è stato potente e ha esercitato attrazione. L’inversione del tempo, per esempio; o l’esplorazione/emigrazione planetaria, oppure la scoperta di una dimensione parallela. Che rende irrilevante la scarsità su questo pianeta, in questo luogo e in questo tempo (il futuro).
Immagini del futuro. ***La scissione del soggetto (individuale e collettivo) è all’origine del disagio e dell’alienazione, dell’infelicità e della sofferenza (: è il dover-essere al posto dell’essere). L’opera è il veicolo migliore che conosciamo in grado di ricomporre questa scissione, e di indirizzarci con dolcezza verso la nostra natura – l’essere – distogliendoci per un attimo dal dover-essere.L’opera d’arte è dunque la cura, intesa come ricomposizione. (Laddove, come tutti sappiamo bene, l’arte è al tempo stesso la ferita e la sutura, il trauma e l’elaborazione del trauma).

L’opera d’arte come cura

L’opera ha bisogno di essere attivata, e per fare questo deve essere estratta dal circuito della conservazione e della contemplazione. Perciò, opere concepite e realizzate per finire esclusivamente nel museo non hanno alcun senso, e nascono già morte. L’opera che invece è in grado di condurre la propria esistenza nel mondo, anche proprio al di fuori dello spazio espositivo e/o istituzionale, è anche in grado e ha necessità di stabilire rapporti profondi con le persone con cui entra in contatto, fino a curarle.
L’opera d’arte è la relazione. La relazione è la cura. 

L’opera d’arte come esistenza che accade

L’opera è proprio questa esperienza profonda, immateriale, relazionale in un senso non didascalico né semplificato. L’esistenza che accade (happening: what happens to happen) l’esistenza nel momento stesso in cui accade, l’evento che accade per me e che conferisce senso/sensi a ciò che sto/stiamo attraversando: “L’arte, come la cultura e gli intellettuali, dovrebbero andare in un’unica direzione per cercare non più di sensibilizzare, visto che il tempo è scaduto, ma di accelerare questo cambiamento, di accendere la consapevolezza che quello che stiamo vivendo è più che l’inizio della fine. Deve essere una missione, appunto, non può essere un lavoro o uno stile di vita alla moda. Da una parte la grande crisi globale rende il superfluo ancora più superfluo, il casino mediatico genera mostri giganti che durano il tempo di un respiro e le persone non hanno più lo stimolo all’attenzione e alla riflessione. […] Mentre tutto questo si fa enorme, chi ha la sensibilità di percepire il pericolo dovrebbe creare una finestra accessibile a tutti di riposo e riflessione e, oltre a creare questo spazio, educare il pubblico al suo utilizzo” (Laura CionciStato di grazia, Postmedia Books, Milano 2020, pp. 17-18). 

L’opera d’arte secondo Laura Cionci

E poi: “Crediamo nella ricerca, in quella ricerca che prende un’intera
vita, che diventa appunto una missione per l’artista; crediamo nella sana visione di un lavoro che serve allo sviluppo collettivo; crediamo nell’artista che genera sinergie, che fa rete e che prende forza dalle esperienze dei territori, dalle differenti culture, dalle
mille forme di immaginazione che ha ogni essere umano. L’artista è un veicolo che rende visibile l’immaginario collettivo:
 nel migliore dei casi un immaginario futuro, una predizione, una spinta verso qualcosa di migliore” (ivi, p. 23).

Christian Caliandro

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Artribune

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