Ilva va a fondo. Ma Urso ripete: “L’abbiamo salvata”
- Postato il 10 dicembre 2025
- Di Il Foglio
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Ilva va a fondo. Ma Urso ripete: “L’abbiamo salvata”
Taranto. Quando Urso diventa ministro, a fine 2022, Ilva è gestita da Acciaierie d’Italia, joint venture a metà tra Invitalia e ArcelorMittal. Il siderurgico chiude l’anno con una produzione di 3 milioni di tonnellate. “Ora ci aspettiamo il revamping dell’altoforno Afo 5, senza il quale la siderurgia italiana non è in grado di rispondere alle esigenze del paese” le prime parole del ministro. Subito dopo aprì il tavolo Ilva al ministero, chiamando a sé Michele Emiliano e il sindaco di Taranto. Che fino ad allora, persino con i governi del Pd, erano stati volutamente tenuti fuori. Emiliano trova finalmente sponda su quello che da anni era il suo libro dei sogni: decarbonizzare Ilva. Il piano da 5 miliardi disegnato da Arcuri/Gualtieri/Draghi/Bernabè (Afo5, Afo4, e due nuovi forni elettrici a rottame) viene cancellato. In cambio dell’intesa il governatore pm si fa promettere da Urso di non riaccendere il più grande altoforno d’Europa (che avrebbe garantito 4 milioni di tonnellate). A quel punto si allarma Federacciai, temendo di perdere rottame sul mercato italiano. Da qui la soluzione che, sulla carta, accontenta tutti: 4 forni elettrici da alimentare con 4 impianti Dri. Servono 9 miliardi. E 5 mila esuberi. Meloni fa sapere a Urso che lo stato non li metterà mai. Colui che nel 2014 l’aveva disegnato, Carlo Mapelli, dirà che ormai è irrealizzabile. I rapporti tra il governo e Am si rompono. Si mette in mezzo il ministro Raffaele Fitto, l’unico che a Taranto i voti li aveva presi. Firma in segreto con Am un Memorandum of Understanding. Urso la prende malissimo, e si scatena contro i vertici di Invitalia. Aditha Mittal si reca a Palazzo Chigi ma Meloni non si fa trovare. Deposita istanza di composizione negoziata della crisi. Il dossier torna nelle mani di Urso che vara un Decreto-legge che consente al socio pubblico di richiedere l’amministrazione straordinaria. Detto fatto.
ArcelorMittal viene cacciata, e fa causa al governo chiedendo risarcimento milionario.
Urso nomina tre commissari di sua fiducia, tra cui Giancarlo Quaranta, colpevole in via definitiva per la morte sugli impianti di diversi operai Ilva. Eppure nelle stesse ore Urso sfrutta una indagine finanziaria contro l’ad Lucia Morselli per dire “avevamo ragione a cacciarli”. Da quel momento il ministro inizia a ripetere all’infinito: “Abbiamo salvato Ilva”. Eppure la situazione precipita giorno dopo giorno. Il siderurgico tocca il minimo storico: neanche 1 milione di tonnellate prodotte, la cassa integrazione aumenta insieme ai debiti. A differenza della prima amministrazione straordinaria, che il governo Renzi riusciva a tenere i piedi con continui prestiti da Banca Intesa, questa volta il governo non riesce a rendere Ilva bancabile. La fiducia dei mercati è pari a zero. Ma dal ministero arrivano solo notizie roboanti. Presenta un piano di “ripartenza” per farsi autorizzare da von der Leyen un prestito ponte da 320 milioni, con interesse all’11 per cento. Il mezzo milione residuato dal fondo sequestrato ai Riva che Renzi destinò esclusivamente alle bonifiche, viene dirottato sulle manutenzioni. A casse prosciugate annuncia a marzo 2024 una gara brevissima per vendere Ilva. A ottobre Urso viene a Taranto a schiacciare il bottone che riaccende Afo 1. Dopo 4 mesi esplode. La procura lo sequestra senza facoltà d’uso. A marzo decreta il vincitore della gara: Baku Steel. La trattativa va avanti per mesi senza concludersi mai. Riapre la gara, per inserire vincoli ancora più stringenti. Tanto che Baku steel se ne va. L’offerta massima che arriva è di 1 euro. Urso si inventa che se enti locali non firmano l’autorizzazione ambientale, Ilva chiude a fine luglio. Arriva l’autorizzazione, e Urso al congresso Cisl festeggia: “Abbiamo salvato Ilva”. Poi inizia a dire che senza rigassificatore il piano non si può fare. Si accorda con Occhiuto per farlo a Gioia Tauro. Poi firma con Taranto una lettera d’intesa: “È una giornata storica, oggi abbiamo salvato Ilva” dirà Emiliano. Ma da quando i piani industriali li fanno i governi e non con gli acquirenti? Salis fa l’unica domanda intelligente: ma i nove miliardi chi li mette? Il ministro annuncia i vincitori: Bedrock e Flacks Group. Ma la gara rimane aperta: “C’è grande interesse di investitori stranieri e italiani”. Urso convoca i sindacati e annuncia il piano corto: entro il 28 marzo si vende, intanto chiusura cokerie e seimila dipendenti fuori dalla fabbrica drogati di ammortizzatori sociali con nuovo decreto da 20 milioni solo per l’integrazione. Ma Urso continua a dire che farà di Ilva più grande siderurgico green d’Europa. Anche se tutto il mondo gli gira intorno contro.
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