Il Paese dei pensionati che aiutano i nipoti. Impoveriti, invecchiati e con l’incubo Sanità: l’Italia del Censis 2025

  • Postato il 5 dicembre 2025
  • Cronaca
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Nel suo nuovo Rapporto 2025 sulla situazione sociale del Paese, il Censis, l’istituto di ricerca socio-economica italiano, dipinge un quadro di profonda incertezza e declino del benessere, con il ceto medio in affanno, i lavoratori più anziani a sostenere l’occupazione e un aumento record del debito pubblico, in un contesto di forte disillusione e timori crescenti sulla tenuta del Servizio Sanitario Nazionale.

4 pensionati su 10 aiutano figli e nipoti – L’Italia continua a invecchiare, con gli over 65 che rappresentano il 24,7% della popolazione. I pensionati svolgono un ruolo economico cruciale per le famiglie: il 43,2% fornisce aiuti economici regolari a parenti e il 61,8% ha contribuito o intende contribuire a spese importanti di figli o nipoti, come l’acquisto della casa. La consapevolezza di questo necessario supporto a figli e nipoti giustifica, per il 54,2% degli italiani, l’indicizzazione all’inflazione anche delle pensioni lorde superiori ai 2.500 euro. E vista l’incertezza economica, il 94,2% degli anziani risparmia per malattia o non autosufficienza e l’82,2% monitora il bilancio familiare. Non solo: il 72,6% degli attuali pensionati vorrebbe continuare a lavorare, purché non ci siano penalizzazioni fiscali.

Tra lavoratori anziani e robot – Il mercato del lavoro è soggetto a una progressiva “senilizzazione“. L’incremento di 833.000 occupati nel biennio 2023-2024 è dovuto per l’84,5% (704.000 unità) alle persone con 50 anni e oltre. Nei primi dieci mesi del 2025, il saldo positivo (206.000 occupati in più) è dovuto esclusivamente agli over 50 (+410.000 unità), a fronte di cali tra i 35-49enni (-1,1%) e gli under 35 (-2,0%). Tra i giovani, gli inattivi sono in forte aumento (+3,0%). Questa crescita del lavoro (+3,7% occupati, +5,3% ore lavorate) supera il Pil (+1,7%), causando una riduzione degli indicatori di produttività: -2,0% del valore aggiunto per occupato. In parallelo, l’Italia è 14° per intensità di automazione e 6° nel mondo per robot industriali installati nel 2023. Nel settore automotive (1995-2022), segnala il rapporto, la produzione è aumentata del 61,4% con una riduzione del 21,3% della forza lavoro, ma a fronte di un aumento del valore aggiunto per occupato del 48,8%, i salari sono cresciuti solo del 9,3%.

Sfiducia e incubo sanità – Il 78,5% degli italiani teme di non poter contare su servizi sanitari adeguati in caso di non autosufficienza. Lo stesso contesto sanitario è difficile: in un anno si sono registrati 22.049 casi di aggressione agli operatori. Il 91,2% dei medici ritiene il lavoro nel SSN più stressante. Il 66,0% dei medici non ha tempo per dialogare con i pazienti, il 65,9% opera in strutture con carenze di personale e il 51,8% usa attrezzature obsolete. Il 41,2% non si sente sicuro a causa della violenza e il 71,8% si sente un capro espiatorio delle carenze del sistema. La percezione di inadeguatezza dell’intervento pubblico si estende anche ai rischi ambientali, con il 72,3% che crede insufficienti gli aiuti statali in caso di eventi estremi. Di conseguenza, il 54,7% si dichiara disposto a spendere fino a 70 euro al mese per tutelarsi, e il 52,3% considera la possibilità di ridurre i consumi per l’acquisto di strumenti assicurativi. Tuttavia, il 70% degli italiani non intraprende azioni concrete sul piano finanziario o assicurativo. Tra le alternative, il 37,2% rimanda la decisione, il 34,5% punta sui risparmi e il 22,0% sul welfare pubblico.

C’era una volta il ceto medio – Il ceto medio è in grave affanno e rischia di perdere il proprio status. Le retribuzioni annue medie reali nel 2024 sono inferiori dell’8,7% rispetto al 2007, e nello stesso periodo il potere d’acquisto pro capite è calato del 6,1%,. Tra il 2004 e il 2024, il numero di titolari d’impresa è diminuito del 17,0%, con quasi 585.000 imprenditori in meno. Particolarmente colpita la fascia giovane, dove gli imprenditori under 30 sono calati del 46,2%. Tra il 2011 e il 2025, la ricchezza delle famiglie italiane è diminuita in termini reali dell’8,5%. Il ceto medio è il più penalizzato: il 50% delle famiglie più povere ha perso il 23,2% della propria ricchezza, mentre il 10% delle famiglie più ricche l’ha vista aumentare del 5,9%. Il 48% della ricchezza è detenuto dal 5% delle famiglie più abbienti. L’inflazione ha aggravato la situazione: nel 2024 i prezzi erano più alti del 17,4% rispetto al 2019 e il carrello della spesa del 23,0%. Nonostante la spesa maggiore, il volume di generi alimentari acquistati è diminuito del 2,7%.

Il debito pubblico più alto di sempre – A settembre il debito pubblico italiano ha toccato la cifra record di 3.081 miliardi di euro, in crescita del 38,2% rispetto al 2001,. La spesa per interessi nell’ultimo anno è stata di 85,6 miliardi, corrispondenti al 3,9% del Pil, il valore più alto tra i Paesi europei dopo l’Ungheria e ben oltre la media Ue dell’1,9%. Questi costi superano gli investimenti pubblici (78,3 miliardi) e la spesa per i servizi ospedalieri (54,1 miliardi). La vulnerabilità è accresciuta dal fatto che il 33,7% del debito è in mano a creditori esteri (più di 1.000 miliardi), mentre le famiglie detengono il 14,4%,. Nel contesto del G7, dove il debito è lievitato dal 75,1% al 124,0% del Pil tra il 2001 e il 2024, l’Italia è passata dal 108,5% al 134,9%. Si prevede che entro il 2030 il rapporto debito/Pil nel G7 supererà il 137%.

Il calo della produzione industriale – L’indice della produzione industriale ha segnato un dato negativo per trentadue mesi consecutivi, con l’eccezione di tre lievi rimbalzi. La produzione manifatturiera ha registrato un calo del -1,6% nel 2023, del -4,3% nel 2024 e del -1,2% nei primi nove mesi di quest’anno. Solo quattro comparti (elettronica, alimentare, farmaceutica, legno e carta) mostrano segnali di ripresa nel 2025. In controtendenza, la fabbricazione di armi e munizioni ha registrato un incremento del 31,0% nei primi nove mesi dell’anno rispetto all’anno precedente.

Torna il sogno del pubblico impiego – La disaffezione verso il lavoro privato è evidente, con solo il 29,4% degli occupati dipendenti nel settore privato che si sente molto motivato. La motivazione è maggiore negli over 55 (37,5%) rispetto agli under 44 (24,0%). Il disimpegno è legato al disallineamento tra competenze e mansioni. La maggioranza dei lavoratori (46,4%) preferirebbe un impiego dipendente nel settore pubblico, mentre solo il 30,6% opterebbe per il privato e l’11,0% per la libera professione. La stabilità (63,0%), la certezza del reddito fisso (55,1%) e l’evitare il rischio di licenziamento (35,2%) sono le principali ragioni di questa preferenza. La permanenza media nello stesso lavoro in Italia è di 11,7 anni, superiore alla media Ue di 9,9 anni. Tuttavia, solo il 38% dei lavoratori italiani ritiene il proprio ambiente professionale psicologicamente ed emotivamente salubre.

E intanto sul lavoro si continua a morire – Nel 2024 sono stati denunciati 518.497 infortuni sul lavoro in Italia, 22 ogni 1.000 occupati, con 1.191 esiti mortali. Negli ultimi dieci anni gli occupati sono aumentati del 9,2% e gli infortuni diminuiti del 10,7%, ma quelli mortali sono in lieve aumento (+0,8%). Nel primo semestre 2025, gli infortuni mortali sono aumentati del 7,1%, arrivando a 495 casi. Le malattie professionali sono state 88.384 nel 2024, un dato in crescita del 54,1% nell’ultimo decennio. Il genere è un fattore di rischio primario, con il 92,0% dei morti sul lavoro di sesso maschile. Anche i lavoratori stranieri e i giovani sono più esposti: gli stranieri, che sono il 10,5% degli occupati, hanno subito il 23,0% di tutti gli infortuni; i giovani 15-24enni, il 4,8% degli occupati, hanno registrato il 12,0% degli infortuni.

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